Marino Palleschi
4. LA PROPOSTA DI VAJNONEN E LA SUA LINEA DI SVILUPPO IN TERMINI PSICOANALITICI
(Vajnonen, Nureyev, Barishnikov, Poliakov, ecc.)
Nella versione che Vasilij Vajnonen crea nel 1934 per il teatro GATOB – l’ex Marijnsky - a San Pietroburgo, a Masha - così viene ribattezzata Clara - è affidato anche il passo a due della Fata Confetto, come era già avvenuto in altre produzioni russe, ma questa volta, anche per l’identificazione del Cavaliere della Fata con Schiaccianoci, la variante assume un ben preciso significato. Unita alla presenza di altri riferimenti psicoanalitici, l’identificazione dei personaggi suggerisce l’interpretazione dell’intera vicenda come un viaggio attraverso l’adolescenza verso l’età adulta. In particolare proprio il passo a due, per il modo in cui è rivisitato, appare come una metafora del desiderato-temuto atto amoroso e del ruolo iniziatico del medesimo. Ciò è ottenuto concependo un grand pas finale per i due protagonisti e quattro cavalieri, che si configura come una palese citazione dell’adagio della Rosa de La Bella. Il rimando è reso altresì evidente da tutta una precedente serie di citazioni che rendono esplicito omaggio a Petipa: alla festa di Natale compaiono il teatrino in miniatura e la moscacieca presi direttamente dal Don Chisciotte; nel valzer dei fiocchi di neve le ballerine percorrono a ritroso e in salita un piano inclinato innevato secondo una serie di passi saltati che, visti nel loro complesso, appaiono un chiaro rimando alle arabesque di entrata delle ombre di Bayadère; nel valzer dei fiori tornano le file viste nel gran passo delle Willy, concepito da Petipa nella sua revisione di Giselle del 1884. E nel grand pas finale, appunto, la protagonista, come ne La Bella, è matura per un’iniziazione all’amore e, dunque, alla vita adulta. Le citazioni da un lato, unite all’interpretazione analitica del balletto dall’altro, conciliano la tradizione dei teatri Imperiali col desiderio di innovazione tipico del periodo post rivoluzionario russo. La proposta debutta per l’interpretazione di Galina Ulanova e col décor di Dimitriev, sostituito, poi, da quello di Simon Virsaladze.
L’interpretazione decisamente psicoanalitica del balletto apre la strada a successive versioni che sostituiscono alla componente fiabesca tradizionale un approccio marcatamente adulto, il quale rende piuttosto marginale la componente “natalizia” del racconto. Non è senza conseguenza il fatto che un giovane Nureyev assista ancora da studente a numerose riprese della versione Vajnonen e che vi interpreti il ruolo del Principe in otto recite ancor prima di diplomarsi. Anche Rudolf Nureyev rappresenta la trasformazione di Clara nella principessa del suo stesso sogno con il suo fondamentale capolavoro andato in scena nel 1967 al Teatro Reale di Stoccolma con scene e costumi di Renzo Mongiardino, a seguito di un’occasione offertagli da Erick Bruhn, all’epoca direttore del Balletto di Stoccolma. La versione è ripresa il 29 febbraio 1968 dal Royal Ballet al Covent Garden di Londra e, con varianti apportate con gli anni, col décor di Nicholas Georgiadis, che lavora alle successive produzioni a partire da quella londinese, approda, per restarvi, alla Scala di Milano il 18 settembre 1969 e all’Opéra di Parigi. La versione integrale presentata alla Scala era stata preceduta dal solo passo a due della Fata confetto interpretato da Merle Park e dallo stesso Nureyev a partire dal 17 settembre 1968. Nureyev, che usa la variazione maschile di Vajnonen per il passo a due finale, per la sua versione sfrutta l’idea di Vajnonen nel profondo e non si limita a trasformare il personaggio di Clara in quello della Fata: identifica anche il personaggio di Drosselmeyer con quello del Principe Schiaccianoci. Quest’ultimo è un seduttivo e radioso uomo adulto, personaggio interpretato dallo stesso artista in precedenza visto come Drosselmeyer, mentre è un diverso ballerino a comparire, molto brevemente, come pupazzo Schiaccianoci nella battaglia contro i topi. E’, dunque, il fascino esercitato sull’adolescente dall’amico di famiglia a volte rassicurante, a volte misterioso ad evolversi nell’attrazione che la donna prova per chi potrà forse condividere la sua vita adulta. Seguendo un’osservazione di Vittoria Ottolenghi, riassumiamo dicendo che Nureyev ha dato allo Schiaccianoci “il carattere di un grande affresco onirico” e al sogno della giovane “alcuni fra i profondi e precisi significati iniziatici che gli sono propri”. Ciò è ottenuto da Nureyev rinunciando alla visita nel Paese dei Dolci, ma recuperando il divertissement, che viene trattato in modo funzionale alla lettura psicoanalitica del balletto. Innanzi tutto Nureyev sovrappone i parenti di Clara ai suoi più paurosi fantasmi: a metà del sogno Clara è terrorizzata da una frotta di pipistrelli, ma, quando il Principe interviene a rincuorarla e a proteggerla, si accorge che essi altri non sono che la sua famiglia e i suoi amici, così trasfigurati dal suo incubo. L’ambiente in cui Clara e il Principe-Schiaccianoci si trovano si trasforma misteriosamente nel teatro-giocattolo della bambina, dove molte delle sue bambole preferite prendono vita e danzano in un'atmosfera di felicità assumendo anche le sembianze dei fratelli.
Alla Scala sono applaudite interpreti Cosi, Colombo e, in seguito, Fracci a fianco dello stesso Nureyev e, successivamente, di Mario Pistoni.
Una grande affinità di concezione alla versione Nureyev è dimostrata da quella di Evgeni Poliakov, legato al grande ballerino da amicizia e da un importante rapporto di lavoro. In un’intervista condotta dalla Ottolenghi, lo stesso Poliakov descrive la sua proposta come il tentativo “di evitare la tradizionale sequela di vignette” al fine “di creare strutture coreografiche ampie, fluide”, che diano della partitura di Tchaikovsky una lettura sinfonica. Bene osserva la Ottolenghi che il motivo conduttore seguito è la paura adolescenziale dell’amore, raccontata attraverso una serie di prime esperienze emotive di una fanciulla. Di per sé traumatiche, queste lasciano intravedere una futura condizione adulta e felice. Prosegue la Ottolenghi: “Drosselmeyer e il Principe Schiaccianoci non sono, quindi, che i due volti dell’amore: quello profano….e quello sacro…”. L’aspetto inquietante e addirittura repulsivo che può assumere il primo è rappresentato dall’identificazione di Drosselmeyer al Re dei Topi. Anche gli adulti si identificano a spaventosi topi-pipistrello, come del resto in Nureyev, e appaiono come mostri all’inizio del passaggio verso una vita adulta, per tornare ad apparire rassicuranti dopo che la giovane avrà compreso la normalità di ciò che la aspetta e sarà, dunque, diventata adulta ella stessa.
La versione Vajnonen lascia il segno anche su Barishnikov, che in essa si esibisce quando ancora balla per il Kirov di Leningrado. Da queste esperienze Mikhail Baryshnikov matura una versione, per l’American Ballet Theatre, anch’essa da intendere in chiave psicoanalitica. Essa debutta a Washington il 21 dicembre 1976 con lo stesso ballerino come Schiaccianoci e come Principe. Egli utilizza la coreografia del Valzer dei fiocchi di neve di Vajnonen, enfatizza i poteri magici di Drosselmeyer, presentandolo come creatore sia di Schiaccianoci che del Principe, descrive Clara come un’adolescente determinata a difendere i suoi sogni e le sue aspirazioni dal potere e dal volere del padrino. Barishnikov trasforma il passo a due finale in un passo a tre, con l’intervento di Drosselmeyer intenzionato a riportare alla realtà la giovane, ma costei ritaglia al suo sogno ancora uno spazio, un lungo momento immediatamente precedente il risveglio, per salutare un’ultima volta il suo principe, durante l’adagio del passo a due, che viene a questo scopo posposto alle variazioni. In questa linea è anche la proposta, dal soggetto alterato per consentire l’uso di musica non composta da Tchaikovsky, presentata da Nicolas Beriozoff nel 1979 al Regio di Torino con Elisabetta Terabust e Patrice Bart.
L’interpretazione decisamente psicoanalitica del balletto apre la strada a successive versioni che sostituiscono alla componente fiabesca tradizionale un approccio marcatamente adulto, il quale rende piuttosto marginale la componente “natalizia” del racconto. Non è senza conseguenza il fatto che un giovane Nureyev assista ancora da studente a numerose riprese della versione Vajnonen e che vi interpreti il ruolo del Principe in otto recite ancor prima di diplomarsi. Anche Rudolf Nureyev rappresenta la trasformazione di Clara nella principessa del suo stesso sogno con il suo fondamentale capolavoro andato in scena nel 1967 al Teatro Reale di Stoccolma con scene e costumi di Renzo Mongiardino, a seguito di un’occasione offertagli da Erick Bruhn, all’epoca direttore del Balletto di Stoccolma. La versione è ripresa il 29 febbraio 1968 dal Royal Ballet al Covent Garden di Londra e, con varianti apportate con gli anni, col décor di Nicholas Georgiadis, che lavora alle successive produzioni a partire da quella londinese, approda, per restarvi, alla Scala di Milano il 18 settembre 1969 e all’Opéra di Parigi. La versione integrale presentata alla Scala era stata preceduta dal solo passo a due della Fata confetto interpretato da Merle Park e dallo stesso Nureyev a partire dal 17 settembre 1968. Nureyev, che usa la variazione maschile di Vajnonen per il passo a due finale, per la sua versione sfrutta l’idea di Vajnonen nel profondo e non si limita a trasformare il personaggio di Clara in quello della Fata: identifica anche il personaggio di Drosselmeyer con quello del Principe Schiaccianoci. Quest’ultimo è un seduttivo e radioso uomo adulto, personaggio interpretato dallo stesso artista in precedenza visto come Drosselmeyer, mentre è un diverso ballerino a comparire, molto brevemente, come pupazzo Schiaccianoci nella battaglia contro i topi. E’, dunque, il fascino esercitato sull’adolescente dall’amico di famiglia a volte rassicurante, a volte misterioso ad evolversi nell’attrazione che la donna prova per chi potrà forse condividere la sua vita adulta. Seguendo un’osservazione di Vittoria Ottolenghi, riassumiamo dicendo che Nureyev ha dato allo Schiaccianoci “il carattere di un grande affresco onirico” e al sogno della giovane “alcuni fra i profondi e precisi significati iniziatici che gli sono propri”. Ciò è ottenuto da Nureyev rinunciando alla visita nel Paese dei Dolci, ma recuperando il divertissement, che viene trattato in modo funzionale alla lettura psicoanalitica del balletto. Innanzi tutto Nureyev sovrappone i parenti di Clara ai suoi più paurosi fantasmi: a metà del sogno Clara è terrorizzata da una frotta di pipistrelli, ma, quando il Principe interviene a rincuorarla e a proteggerla, si accorge che essi altri non sono che la sua famiglia e i suoi amici, così trasfigurati dal suo incubo. L’ambiente in cui Clara e il Principe-Schiaccianoci si trovano si trasforma misteriosamente nel teatro-giocattolo della bambina, dove molte delle sue bambole preferite prendono vita e danzano in un'atmosfera di felicità assumendo anche le sembianze dei fratelli.
Alla Scala sono applaudite interpreti Cosi, Colombo e, in seguito, Fracci a fianco dello stesso Nureyev e, successivamente, di Mario Pistoni.
Una grande affinità di concezione alla versione Nureyev è dimostrata da quella di Evgeni Poliakov, legato al grande ballerino da amicizia e da un importante rapporto di lavoro. In un’intervista condotta dalla Ottolenghi, lo stesso Poliakov descrive la sua proposta come il tentativo “di evitare la tradizionale sequela di vignette” al fine “di creare strutture coreografiche ampie, fluide”, che diano della partitura di Tchaikovsky una lettura sinfonica. Bene osserva la Ottolenghi che il motivo conduttore seguito è la paura adolescenziale dell’amore, raccontata attraverso una serie di prime esperienze emotive di una fanciulla. Di per sé traumatiche, queste lasciano intravedere una futura condizione adulta e felice. Prosegue la Ottolenghi: “Drosselmeyer e il Principe Schiaccianoci non sono, quindi, che i due volti dell’amore: quello profano….e quello sacro…”. L’aspetto inquietante e addirittura repulsivo che può assumere il primo è rappresentato dall’identificazione di Drosselmeyer al Re dei Topi. Anche gli adulti si identificano a spaventosi topi-pipistrello, come del resto in Nureyev, e appaiono come mostri all’inizio del passaggio verso una vita adulta, per tornare ad apparire rassicuranti dopo che la giovane avrà compreso la normalità di ciò che la aspetta e sarà, dunque, diventata adulta ella stessa.
La versione Vajnonen lascia il segno anche su Barishnikov, che in essa si esibisce quando ancora balla per il Kirov di Leningrado. Da queste esperienze Mikhail Baryshnikov matura una versione, per l’American Ballet Theatre, anch’essa da intendere in chiave psicoanalitica. Essa debutta a Washington il 21 dicembre 1976 con lo stesso ballerino come Schiaccianoci e come Principe. Egli utilizza la coreografia del Valzer dei fiocchi di neve di Vajnonen, enfatizza i poteri magici di Drosselmeyer, presentandolo come creatore sia di Schiaccianoci che del Principe, descrive Clara come un’adolescente determinata a difendere i suoi sogni e le sue aspirazioni dal potere e dal volere del padrino. Barishnikov trasforma il passo a due finale in un passo a tre, con l’intervento di Drosselmeyer intenzionato a riportare alla realtà la giovane, ma costei ritaglia al suo sogno ancora uno spazio, un lungo momento immediatamente precedente il risveglio, per salutare un’ultima volta il suo principe, durante l’adagio del passo a due, che viene a questo scopo posposto alle variazioni. In questa linea è anche la proposta, dal soggetto alterato per consentire l’uso di musica non composta da Tchaikovsky, presentata da Nicolas Beriozoff nel 1979 al Regio di Torino con Elisabetta Terabust e Patrice Bart.