Nikolai Sergeyev (da Marius Petipa) e Bronislava Nijinska
The Sleeping Princess
02-11-1921 - Londra, Alhambra Theatre
Balletto in 5 scene
dal racconto di Charles Perrault La Belle au bois dormant
Coreografia: Nikolai Sergeyev (da Marius Petipa) e integrata da Bronislava Nijinska
Musica: Piotr Ilic Tchaikovsky e frammenti orchestrati da Igor Stravinsky
Direttore d'orchestra: Gregor Fittelberg
Scene e costumi: Lèon Bakst
CAST
La principessa Aurora: Olga Spessivtseva
Il Principe: Pierre Vladimirov
La regina: Vera Soudeikina
Il Re Florestano XIV: Leonard Treer
Cantalabutte, Maestro di cerimonia: Jean Jazvinsky
La fata dei lillà (Lilac Fairy) Lydia Lopokova e il suo paggio: Stanislas Idzikowski
La fata della pineta (Fairy of the Pine Woods): Felia Doubrovska e il suo paggio: Errol Addison
La fata dei fiori di ciliegio (Cherry-Blossom Fairy): Lydia Sokolova e il suo paggio: Leon Woizikovsky
La fata dei colibrì (Fairy of the Humming-Birds): Bronislava Nijinska e il suo paggio: Nicolas Zverev
La fata degli uccelli canterini (Fairy of the Song-Birds): Lubov Egorova e il suo paggio: Nicolas Kremnev
La fata dei garofani (Carnation Fairy): Vera Nemtchinova e il suo paggio: Tadeo Slavinsky
La fata del frassino di montagna (Fairy of the Mountain Ash): Lubov Tchernicheva e il suo paggio: Anatol Vilzak
La fata Carabosse: Carlotta Brianza
Il principe italiano: Tadeo Slavinsky
Il principe inglese: Errol Addison
Il principe spagnolo: Anatol Vilzak
Il principe indiano: Leon Woizikovsky
Gallison, il tutore del principe: Nicolas Zverev
La contessa: Lubov Tchernicheva
Arlecchino: Anatol Vilzak
Colombina: Vera Nemtchinova
Pierrot: Nicolas Zverev
Pierrette: Bronislava Nijinska
Il gatto con gli stivali: Errol Addison
La gatta bianca: Ludmilla Schollar
L'uccellino azzurro: Stanislas Idzikowsky
La principessa incantata: Lydia Lopokova
Cappuccetto rosso: Lydia Sokolova
Il lupo: Mikolaitchik
Barbablù: Fedorov, la moglie Ariana: Lubov Tchernicheva e la sorella Anna: Felia Doubrovska
Shéhérazade: Maria D'Albaicin
Shah Shahriar: Pavlov e il suo fratello: Singaievsky
Il Mandarino: Nicolas Kremnev e le principesse di porcellana: Bewicke, Sumarokova
Ivan e i suoi fratelli: Léon Woizikovsky, Tadeo Slavinsky, Kornezky
Baronesse e Marchese: Hilda Bewicke, Ludmilla Schollar, Vera Nemtchinova
Ballets Russes de Djaghilev
dal racconto di Charles Perrault La Belle au bois dormant
Coreografia: Nikolai Sergeyev (da Marius Petipa) e integrata da Bronislava Nijinska
Musica: Piotr Ilic Tchaikovsky e frammenti orchestrati da Igor Stravinsky
Direttore d'orchestra: Gregor Fittelberg
Scene e costumi: Lèon Bakst
CAST
La principessa Aurora: Olga Spessivtseva
Il Principe: Pierre Vladimirov
La regina: Vera Soudeikina
Il Re Florestano XIV: Leonard Treer
Cantalabutte, Maestro di cerimonia: Jean Jazvinsky
La fata dei lillà (Lilac Fairy) Lydia Lopokova e il suo paggio: Stanislas Idzikowski
La fata della pineta (Fairy of the Pine Woods): Felia Doubrovska e il suo paggio: Errol Addison
La fata dei fiori di ciliegio (Cherry-Blossom Fairy): Lydia Sokolova e il suo paggio: Leon Woizikovsky
La fata dei colibrì (Fairy of the Humming-Birds): Bronislava Nijinska e il suo paggio: Nicolas Zverev
La fata degli uccelli canterini (Fairy of the Song-Birds): Lubov Egorova e il suo paggio: Nicolas Kremnev
La fata dei garofani (Carnation Fairy): Vera Nemtchinova e il suo paggio: Tadeo Slavinsky
La fata del frassino di montagna (Fairy of the Mountain Ash): Lubov Tchernicheva e il suo paggio: Anatol Vilzak
La fata Carabosse: Carlotta Brianza
Il principe italiano: Tadeo Slavinsky
Il principe inglese: Errol Addison
Il principe spagnolo: Anatol Vilzak
Il principe indiano: Leon Woizikovsky
Gallison, il tutore del principe: Nicolas Zverev
La contessa: Lubov Tchernicheva
Arlecchino: Anatol Vilzak
Colombina: Vera Nemtchinova
Pierrot: Nicolas Zverev
Pierrette: Bronislava Nijinska
Il gatto con gli stivali: Errol Addison
La gatta bianca: Ludmilla Schollar
L'uccellino azzurro: Stanislas Idzikowsky
La principessa incantata: Lydia Lopokova
Cappuccetto rosso: Lydia Sokolova
Il lupo: Mikolaitchik
Barbablù: Fedorov, la moglie Ariana: Lubov Tchernicheva e la sorella Anna: Felia Doubrovska
Shéhérazade: Maria D'Albaicin
Shah Shahriar: Pavlov e il suo fratello: Singaievsky
Il Mandarino: Nicolas Kremnev e le principesse di porcellana: Bewicke, Sumarokova
Ivan e i suoi fratelli: Léon Woizikovsky, Tadeo Slavinsky, Kornezky
Baronesse e Marchese: Hilda Bewicke, Ludmilla Schollar, Vera Nemtchinova
Ballets Russes de Djaghilev
TRAMA
PRIMA SCENA
C'era una volta un buon re, Florestano XXIV e la sua consorte, che erano stati a lungo molto infelici perché senza figli, ma alla fine, con loro grande gioia, la Regina aveva dato alla luce una figlia che si chiamava Aurora, poiché l'alba stessa non era mai stata così bella. Convennero che il battesimo doveva essere una festa magnifica, alla quale le fate erano invitate a presenziare come madrine. Sette di loro vennero, seguite dai loro paggi, e ognuna di loro a sua volta fece un dono alla piccola principessa. Una ha promesso che sarebbe stata la creatura più bella del mondo, un altra che avrebbe avuto lo spirito di un angelo, l'altra una grazia meravigliosa in tutte le sue maniere, e le altre che potrà danzare alla perfezione, cantare come un usignolo e suonare squisitamente tutti gli strumenti musicali. Ma proprio mentre tutti si rallegravano, un paggio irrompe sulla scena con la terribile novella che la fata malvagia Carabosse, si avvicinava con rabbia terribile per non essere stata invitata al battesimo. Poco dopo, giunta su un carro trainato da quattro topi, chiede che le venga mostrato il neonato reale. Il re ordina alle balie reali di portarla avanti, dopodiché la fata malvagia, con voce terribile, dice: "Ti prometto che un giorno ti trafiggerai la mano con un fuso, e in quel giorno morirai sicuramente". Ma la settima delle fate madrine, la più giovane di tutte, la Fata dei lillà, non aveva ancora elargito il suo dono. Si fece avanti e, sebbene non potesse rimediare al danno che aveva fatto la sua sorella maggiore, disse che invece di morire la principessa sarebbe caduta in un sonno profondo che sarebbe durato molti, molti anni, prima che il figlio di un re arrivasse a risvegliarla con un bacio. La fata fece anche la promessa di salvaguardare la piccola principessa dal male.
SECONDA SCENA
A sedici anni la piccola principessa Aurora era diventata una bella fanciulla, la cui fama si era diffusa in lungo e in largo. Vennero a corteggiarla quattro principi, dalla Spagna, dall'Inghilterra, dall'India e dall'Italia, e il re e la regina prepararono feste in loro onore. Tutti gli abitanti del villaggio furono invitati, ma quando arrivarono, il maestro di cerimonie vede, con suo orrore, che quattro di loro avevano rocche e fusi, cosa contraria alla legge che era stata promulgata sedici anni prima, che rendeva un reato penale portare un fuso entro un miglio dal Palazzo. Sarebbe stata comminata una condanna molto severa a loro se non fosse stato per l'intervento di grazia della Corte che non voleva che la gioia generale fosse guastata da un evento spiacevole. Ma durante il ballo la giovane principessa venne avvicinata da una vecchia che le mostrò un fuso, cosa che non aveva mai visto in tutta la sua vita. Mentre lo esaminava con curiosità, si punse il dito. Al suo grido la danza cessò. I quattro principi accorsero in suo aiuto, la vecchia gettò indietro il suo mantello e si rivelò come la fata malvagia che scomparve prima che questi potessero arrivare sul posto. La piccola Fata dei lillà mostrò allora di non aver dimenticato la sua promessa. Agitò la sua bacchetta magica e tutti caddero in un sonno profondo, accanto alla loro padrona in modo che tutti potessero essere pronti ad assisterla quando ne avesse avuto bisogno. La buona fata allora ordinò che una foresta impenetrabile crescesse intorno al palazzo, e quando tutto fu al sicuro scomparve alla vista.
TERZA SCENA
Un giorno, molti anni dopo, forse anche cent'anni, l'incomparabile giovane principe Florimondo, che è noto a tutti come il principe azzurro, capitò di cavalcare nei pressi di quel lato del paese dove c'era la foresta intricata. Si separò dai suoi compagni e si riposò sotto un albero. Lì fu visitato dalla fata dei lillà, che gli raccontò la storia della principessa addormentata. Fu scettico a crederle, finché, con un gesto della sua bacchetta, lei gli mostrò la Principessa in una visione. Ma quando si mosse verso di lei, lei svanì come se non fosse mai esistita. Il principe azzurro ha quindi implorato la fata dei lillà di condurlo a lei e, per compassione, lo invitò a salire sulla sua barca fatata, fatta di madreperla.
QUARTA SCENA
Alla fine la Fata dei lillà condusse il principe azzurro nel palazzo, che trovarono fittamente ricoperto di ragnatele e dove videro il re e la regina e tutta la corte immersi in un sonno profondo. Con qualche difficoltà trovarono la strada verso il divano su cui dormiva la bella principessa Aurora. Il principe azzurro le si avvicinò in punta di piedi, si chinò su di lei e con un bacio spezzò l'incantesimo della fata malvagia. la Fata dei lillà risvegliò poi l'intera corte dal torpore. Le ragnatele scomparvero, la stanza brillava di mille luci e, in mezzo a grandi esultanze, il Re e la Regina diedero la mano della loro bella figlia al principe che l'aveva liberata dall'incantesimo.
QUINTA SCENA
Non c'è mai stato un matrimonio come quello della bella principessa Aurora, unica figlia di Sua Maestà Florestano XXIV, con il principe Florimondo. Tutti i protagonisti delle fiabe erano presenti. Vennero Colombina e il suo Arlecchino, Pierrot e la sua Pierrette. Arrivarono il Gatto con gli Stivali, l'Uccellino Azzurro e la Principessa Incantata, Cappuccetto rosso e il Lupo. Dal paese delle Mille e una notte vennero Scheherazade, insieme allo scià Shahriar e il suo fratello. Dalla lontana Cina arrivarono un Mandarino e due piccole principesse di porcellana. Poi c'era Barbablù con la sua ultima moglie Ariana e la sorella Anna. Dalla Russia vennero Ivan e i suoi fratelli. Quando tutte queste persone deliziose ebbero reso omaggio agli sposi, l'intera assemblea si unì in un grande ballo in loro onore e, nel paese delle fiabe, stanno ancora oggi ballando.
Programma di sala "The Sleeping Princess"
Theatre Alhambra, Londra 02-11-1921
Ballets Russes de Djaghilev
C'era una volta un buon re, Florestano XXIV e la sua consorte, che erano stati a lungo molto infelici perché senza figli, ma alla fine, con loro grande gioia, la Regina aveva dato alla luce una figlia che si chiamava Aurora, poiché l'alba stessa non era mai stata così bella. Convennero che il battesimo doveva essere una festa magnifica, alla quale le fate erano invitate a presenziare come madrine. Sette di loro vennero, seguite dai loro paggi, e ognuna di loro a sua volta fece un dono alla piccola principessa. Una ha promesso che sarebbe stata la creatura più bella del mondo, un altra che avrebbe avuto lo spirito di un angelo, l'altra una grazia meravigliosa in tutte le sue maniere, e le altre che potrà danzare alla perfezione, cantare come un usignolo e suonare squisitamente tutti gli strumenti musicali. Ma proprio mentre tutti si rallegravano, un paggio irrompe sulla scena con la terribile novella che la fata malvagia Carabosse, si avvicinava con rabbia terribile per non essere stata invitata al battesimo. Poco dopo, giunta su un carro trainato da quattro topi, chiede che le venga mostrato il neonato reale. Il re ordina alle balie reali di portarla avanti, dopodiché la fata malvagia, con voce terribile, dice: "Ti prometto che un giorno ti trafiggerai la mano con un fuso, e in quel giorno morirai sicuramente". Ma la settima delle fate madrine, la più giovane di tutte, la Fata dei lillà, non aveva ancora elargito il suo dono. Si fece avanti e, sebbene non potesse rimediare al danno che aveva fatto la sua sorella maggiore, disse che invece di morire la principessa sarebbe caduta in un sonno profondo che sarebbe durato molti, molti anni, prima che il figlio di un re arrivasse a risvegliarla con un bacio. La fata fece anche la promessa di salvaguardare la piccola principessa dal male.
SECONDA SCENA
A sedici anni la piccola principessa Aurora era diventata una bella fanciulla, la cui fama si era diffusa in lungo e in largo. Vennero a corteggiarla quattro principi, dalla Spagna, dall'Inghilterra, dall'India e dall'Italia, e il re e la regina prepararono feste in loro onore. Tutti gli abitanti del villaggio furono invitati, ma quando arrivarono, il maestro di cerimonie vede, con suo orrore, che quattro di loro avevano rocche e fusi, cosa contraria alla legge che era stata promulgata sedici anni prima, che rendeva un reato penale portare un fuso entro un miglio dal Palazzo. Sarebbe stata comminata una condanna molto severa a loro se non fosse stato per l'intervento di grazia della Corte che non voleva che la gioia generale fosse guastata da un evento spiacevole. Ma durante il ballo la giovane principessa venne avvicinata da una vecchia che le mostrò un fuso, cosa che non aveva mai visto in tutta la sua vita. Mentre lo esaminava con curiosità, si punse il dito. Al suo grido la danza cessò. I quattro principi accorsero in suo aiuto, la vecchia gettò indietro il suo mantello e si rivelò come la fata malvagia che scomparve prima che questi potessero arrivare sul posto. La piccola Fata dei lillà mostrò allora di non aver dimenticato la sua promessa. Agitò la sua bacchetta magica e tutti caddero in un sonno profondo, accanto alla loro padrona in modo che tutti potessero essere pronti ad assisterla quando ne avesse avuto bisogno. La buona fata allora ordinò che una foresta impenetrabile crescesse intorno al palazzo, e quando tutto fu al sicuro scomparve alla vista.
TERZA SCENA
Un giorno, molti anni dopo, forse anche cent'anni, l'incomparabile giovane principe Florimondo, che è noto a tutti come il principe azzurro, capitò di cavalcare nei pressi di quel lato del paese dove c'era la foresta intricata. Si separò dai suoi compagni e si riposò sotto un albero. Lì fu visitato dalla fata dei lillà, che gli raccontò la storia della principessa addormentata. Fu scettico a crederle, finché, con un gesto della sua bacchetta, lei gli mostrò la Principessa in una visione. Ma quando si mosse verso di lei, lei svanì come se non fosse mai esistita. Il principe azzurro ha quindi implorato la fata dei lillà di condurlo a lei e, per compassione, lo invitò a salire sulla sua barca fatata, fatta di madreperla.
QUARTA SCENA
Alla fine la Fata dei lillà condusse il principe azzurro nel palazzo, che trovarono fittamente ricoperto di ragnatele e dove videro il re e la regina e tutta la corte immersi in un sonno profondo. Con qualche difficoltà trovarono la strada verso il divano su cui dormiva la bella principessa Aurora. Il principe azzurro le si avvicinò in punta di piedi, si chinò su di lei e con un bacio spezzò l'incantesimo della fata malvagia. la Fata dei lillà risvegliò poi l'intera corte dal torpore. Le ragnatele scomparvero, la stanza brillava di mille luci e, in mezzo a grandi esultanze, il Re e la Regina diedero la mano della loro bella figlia al principe che l'aveva liberata dall'incantesimo.
QUINTA SCENA
Non c'è mai stato un matrimonio come quello della bella principessa Aurora, unica figlia di Sua Maestà Florestano XXIV, con il principe Florimondo. Tutti i protagonisti delle fiabe erano presenti. Vennero Colombina e il suo Arlecchino, Pierrot e la sua Pierrette. Arrivarono il Gatto con gli Stivali, l'Uccellino Azzurro e la Principessa Incantata, Cappuccetto rosso e il Lupo. Dal paese delle Mille e una notte vennero Scheherazade, insieme allo scià Shahriar e il suo fratello. Dalla lontana Cina arrivarono un Mandarino e due piccole principesse di porcellana. Poi c'era Barbablù con la sua ultima moglie Ariana e la sorella Anna. Dalla Russia vennero Ivan e i suoi fratelli. Quando tutte queste persone deliziose ebbero reso omaggio agli sposi, l'intera assemblea si unì in un grande ballo in loro onore e, nel paese delle fiabe, stanno ancora oggi ballando.
Programma di sala "The Sleeping Princess"
Theatre Alhambra, Londra 02-11-1921
Ballets Russes de Djaghilev
GALLERY
APPROFONDIMENTO
The Sleeping Princess: voltafaccia sfortunato o intuizione prematura?
Escludendo la versione del 1896 curata da Giorgio Saracco per la Scala di Milano, il balletto La Bella Addormentata nel Bosco debuttò in occidente, sostanzialmente nella sua versione originale, sotto il titolo The Sleeping Princess, all’Alhambra Theatre di Londra, il 2 novembre 1921, nella sontuosa produzione voluta da Diaghilev per i suoi Ballets Russes. Sovente, in passato, l’impresario aveva completato le sue proposte col pas de deux dell’Uccellino Blu, da lui ribattezzato in svariati modi, e, nel 1910, aveva già pensato di proporre una versione riassuntiva de La Belle au Bois Dormant con Kchessinskaya; tuttavia all’idea, ben presto abortita, era giunto non per scelta meditata, ma per far fronte all’improvviso abbandono di Pavlova e all’indisponibilità momentanea di Karsavina (1). Quindi la decisione di presentare nel 1921 il capolavoro della tradizione dei Teatri Imperiali d’acchito appare in assoluta controtendenza con la precedente ricerca estetico-artistica dei Ballets Russes. Intenzionato a riformare proprio le formule codificate del balletto classico, da oltre un decennio il grande impresario proponeva una tipologia di spettacolo, ormai consolidata e apprezzatissima dal pubblico: la serata presentava tre o quattro balletti brevi di un atto, ciascuno concepito con forme di movimento altamente espressive ed innovative della coreutica imposta da Petipa al Marijnsky nell’ultimo Ottocento. La decisione di Diaghilev di presentare La Bella si sarebbe rivelata uno spaventoso fallimento economico. Dopo un iniziale vivo interesse del pubblico, divenne progressivamente sempre più difficile riempire l’auditorio; il calo di incassi costrinse a un taglio delle recite e, invece che i previsti sei mesi, queste ne durarono soltanto tre, fino al 4 Febbraio 1922. Considerando le numerose matinée, la produzione si giovò comunque di 114 spettacoli consecutivi, ma questi non furono sufficienti a coprire i costi di una produzione che Diaghilev volle concepire con sfarzo abbagliante e cura certosina. Il colossale fallimento economico spinse lo stesso impresario a lasciare Londra una settimana prima del termine delle recite con un ingente debito nei confronti del direttore dell’Alhambra, Sir Oswald Stoll, principale finanziatore del progetto. (2) Non è, invece, del tutto chiaro quale sia stato l’effettivo gradimento del pubblico. Alcune testimonianze non nascondono che il pubblico sarebbe rimasto deluso e annoiato, trovando monotona una serata dedicata interamente alla sola danza accademica, quando Diaghilev lo aveva abituato a serate variegate, composte da tre o quattro balletti brevi, ciascuno frutto di una particolare sperimentazione modernista. (3) Gli stessi rapporti riferiscono che molti rinunciarono a ritornare per le repliche di un’unica proposta, quando, in passato, avevano invece goduto di differenti programmi per ogni stagione, ottenuti abbinando in modo diverso tre o quattro balletti brevi scelti nel vasto repertorio dei Ballets Russes. (4) Al contrario Schouvaloff parla di successo di stima e di un gruppo di ballettomani che sarebbero ritornati, sera dopo sera, a godersi lo spettacolo (5) e a confrontare i cast differenti. (6) D’altra parte la stagione di tre mesi, pur dimezzata, testimonia almeno un iniziale interesse e sembra difficile, con oltre 100 repliche, accreditare un’accoglienza totalmente negativa del pubblico. In ogni caso, dopo qualche settimana, le vendite cominciarono a diminuire: "Ben pochi londinesi realizzarono che con The Sleeping Princess stavano assistendo per la prima volta al più grande di tutti i balletti classici, al fiore della danza accademica" (7) Il gruppo degli intellettuali di Bloomsbury disapprovò uno spettacolo che loro apparve assai datato (8) e parte della critica condannò la produzione con parole feroci: Ernest Newmann arrivò a chiamarla “Il suicidio del Balletto Russo” (9) e altri paragonarono la serata a uno spettacolo provinciale di pantomima, come riferisce Boris Kochno, che definì l’avventura “un’assoluta catastrofe”. Il Daily Mail preferì lodare lo splendore della messa in scena di Bakst, anziché diffondersi sulla danza, e il Daily Express notò come il superbo lavoro del pittore compensasse la carenza di impatto drammatico e teatrale del resto del lavoro (10). All'Observer il balletto era parso interminabile e sempre uguale a se stesso (11). Invece il Dancing Times raccomandò caldamente al pubblico di non perdere “uno spettacolo indimenticabile” (12) Altra critica avrebbe in un certo senso salvato la scelta di Diaghilev osservando che il dispiego di pura tecnica accademica necessita di un pubblico in grado di apprezzarlo e, dunque, imputò all’impreparazione del pubblico la necessità di chiudere in grande anticipo la lunga stagione prevista. Questa è anche l’opinione di Cyril Beaumont, che, nell’elogiare la proposta di Diaghilev, giudica inadeguati a esprimere giudizi attendibili non solo il pubblico inglese, ma anche buona parte della critica (13) Beaumont va ancora più lontano definendo la produzione di Diaghilev: “una pietra miliare nella storia del balletto della nazione, che non avrà uguali per molti anni a venire" (14) Ad ogni modo, sulla lunga distanza, l’operazione dell’impresario avrebbe lasciato un segno indelebile nel Balletto Britannico, sorto di lì a breve per l’impegno di Ninette de Valois, già ballerina di Diaghilev. Lasciata la compagnia nel 1926, nel 1931 fondò il Vic-Wells Ballet (poi Sadler’s Wells Ballet, infine Royal Ballet), col quale presentò nel 1939 al Sadler’s Wells Theatre di Londra una nuova produzione de The Sleeping Princess in due atti, l’incantesimo e il matrimonio. Fu curata da Nicholas Sergeyev, lo stesso maitre e régisseur del Marijnsky che già aveva ricostruito la versione originale per Diaghilev sulla base dei suoi ricordi e della notazione del balletto secondo il metodo Stepanov, da lui trafugata allorché aveva lasciato la Russia al momento della Rivoluzione di Ottobre. Ancora sotto la supervisione di Sergeyev la versione integrale sarebbe stata ripresa in una nuova produzione dal Sadler’s Wells alla Royal Opera House nel 1946, con coreografia aggiuntiva della de Valois e di Frederick Ashton. Grazie a quelle proposte e alle storiche interpretazioni di Margot Fonteyn, La Bella sarebbe entrata nella tradizione ballettistica inglese e quella scuola avrebbe gelosamente conservato versioni del balletto di stretta derivazione da quella proposta da Diaghilev, dunque piuttosto fedeli, per quanto ciò sia possibile, all’inventiva di Petipa. Più in generale proprio l'iniziativa di Diaghilev, col proporre il ritorno al capolavoro dei Teatri Imperiali, aveva gettato le basi per la rinascita in Occidente del gusto per il balletto classico. E’ ancora aperta la questione di individuare le ragioni che nel 1921 portarono Diaghilev ad interrompere l’innovativa ricerca coreutica da lui stesso favorita per presentare un esempio di balletto classico postromantico. Nel corso dell’articolo, più avanti, tenteremo di avanzare qualche ipotesi possibile sulla base delle testimonianze dei suoi collaboratori. Tuttavia, prima di addentrarci in deduzioni di questo tipo, è utile tener presente che la passione di Diaghilev per la musica di Tchaikovsky e per la sua stessa persona non è cosa estemporanea manifestatasi nel 1921, ma ha attraversato l’intera vita dell’impresario, iniziando nella sua infanzia. Vediamo qualche dettaglio. Anna Valerianovna Panaeva Kartsova, sorella dell’amatissima matrigna, era un celebre soprano, lontanamente imparentato per matrimonio al musicista. Ascoltandola cantare, fin da ragazzino Diaghilev aveva acquistato grande familiarità con parecchia musica del maestro e sviluppato, nei suoi confronti, un’ammirazione che rasentava l’entusiasmo. E’ Dimitri Vladimirovich Filosofov, cugino e un tempo amante del Nostro, a dirci: “Per tutta la vita Diaghilev ricordò come, da ragazzino, avesse fatto visita allo ‘zio Pierino’ [‘Uncle Petia’, ossia Tchaikovsky] a Klin e per lui fu sempre un motivo d’orgoglio poter ricordare la sua parentela con Tchaikovsky” (15) L’interesse di Diaghilev per il maestro e la sua musica è manifesto anche negli anni pietroburghesi: quelli universitari e quelli immediatamente successivi. Giunto nella capitale nel 1890 per intraprendere gli studi legali, il Nostro fu accolto nella compagnia del cugino, che annoverava Léon Bakst, Alexandre Benois e Walter Nuvel, futuro consulente musicale e manager dei Ballets Russes, destinato a diventare confidente di Diaghilev. Gli amici, scherzosamente autonominatisi “Circolo dei Pickwickiani della Neva”, solevano riunirsi periodicamente per dibattere questioni culturali. Durante i primi incontri, Diaghilev aveva mostrato una propensione ad esibirsi in recital di canto o suonando il pianoforte assieme all’amico Nuvel e sovente la scelta cadeva sugli amati brani di Tchaikovsky. A proposito di queste riunioni l’altro amico Pickwickiano, Benois, ricorda: “… cercavo di ascoltare la musica di Tchaikovsky ogni qualvolta si presentava l’occasione, ai concerti pubblici, ma anche a casa, quando Serioja Diaghilev e Valetchka Nuvel suonavano a due mani le sue suite e le sinfonie, più o meno egregiamente. Le volte in cui si univa a loro il cugino di Serioja, Kolia Diaghilev, che suonava il ‘cello in modo passabile, si esibivano nei terzetti, dei quali all’epoca eravamo particolarmente appassionati" (16) Negli anni universitari il Nostro non mancò i debutti al Marijnsky dei lavori di Tchaikovsky: La Dama di Picche nel dicembre 1890, alla quale assistettero anche Filosofov, Nuvel e Benois (17) ; Yolanta, rappresentata assieme al debutto di Schiaccianoci nel dicembre 1892; era presente alla serata del 1893 in cui lo stesso maestro, poco prima di morire, diresse al Marijnsky la sua Patetica. (18) Sovente ebbe modo di scambiare qualche chiacchiera con Tchaikovsky quando lo incontrava occasionalmente ai concerti o al teatro d’arte drammatica Alexandrinsky. Il sentimento e l’ammirazione provati da Diaghilev per il compositore traspaiono dalle parole con cui ricorda la sua reazione nel leggere sul giornale della morte del maestro: “Non potevo credere ai miei occhi. Mi sembrava di aver appena lasciato Tchaikovsky nel palco di K. A. Varlamov, dopo averlo incontrato al Teatro Alessandrisky. Mi sovvenne che avevamo parlato di morte e che Tchaikovsky aveva detto “Sai, non riesco proprio a credere che un giorno quello spauracchio verrà a prendere anche me!”. Disperato, mi sono precipitato fuori di casa e, sebbene avessi ben presente che Tchaikovsky era morto di colera, andai diritto in Malaya Morskaya, dove viveva. La porta era spalancata e sembrava non ci fosse nessuno. Il posto era a soqquadro. Lo spartito della Sesta Sinfonia giaceva aperto su un tavolo dell’ingresso e su un sofà notai il cappello che il maestro indossava sempre. Quando sentii delle voci provenire da un’altra stanza, mi avvicinai e vidi il corpo di Piotr Ilyitch in abito nero da mattino collocato su un divano. Rimsky-Korsakov e il cantante Nicolai Figner stavano preparando un tavolo per distendervelo. Noi tre lo sollevammo, io per i piedi, e lo posammo sul tavolo. Eravamo soli nell’appartamento, poiché, dopo il trapasso, tutta la servitù era fuggita. ….. Uscii per comprare due fiori e per tutta la prima giornata la mia corona fu la sola che giacesse ai suoi piedi. (19) L’interesse di Diaghilev proprio per La Bella potrebbe avere anche qualche larvato nesso con le convinzioni estetiche maturate negli anni pietroburghesi che seguirono agli studi universitari. Sullo scorcio del secolo, in Russia si era fatto strada il gusto per il retrospettivismo e per lo storicismo, trattato con eleganza e con una vena di “romanticismo alla Hoffmann” (Ann Kodicek). Ad esso aderivano le libere rivisitazioni del passato proposte, nelle loro creazioni figurative, da un ampio gruppo di pittori emergenti, parzialmente influenzati dall’Art Nouveau dell’Europa occidentale. Sognavano di combattere gli inestetismi della società industriale guardando alla leggiadria del rococò, alle atmosfere del passato, alle maschere, alle fiabe e ai racconti fantastici popolari. Mantenendo le loro ambientazioni storiche sempre in equilibrio tra illusione e realtà rivelarono forti tangenze coi movimenti Simbolisti francese ed europeo, tesi a comunicare sensazioni ed idee attraverso immagini simboliche e atmosfere oniriche. Basti pensare agli acquarelli di Benois ambientati nella Francia del '600 e del '700, alla grazia cortigiana barocca de Le Pavillon d’Armide, all'atmosfera di sogno de Les Sylphides, alle gouaches del pittore ispirate alla commedia dell’arte, antecedenti di Petrushka, al tema dell’antica Grecia trattato da Bakst in Terror Antiquus e ripreso con Daphnis et Chloé o con L’aprés-midi d’un Faune, alle scene idilliche abitate da dame in crinoline e maschere di Konstantin Somov, alle silografie di Ivan Bilibin di antiche chiese russe, antecedenti il suo décor per il Boris Godunov, al mito di San Pietroburgo reso eterno da Mistislav Dobuzhinsky e molti altri. Per ragioni che tralasciamo, tale movimento pittorico fu chiamato inizialmente Movimento Decadente russo, poi a volte Simbolismo russo, altre Modernismo russo, ma è opportuno chiamarlo Movimento del Mondo dell’Arte o Mir Isskustva, mutuando il nome da quello della rivista diretta da Diaghilev. Infatti il Nostro non solo condivideva le poetiche decadenti, ma diede loro ampio spazio in una serie di esposizioni da lui organizzate sotto l’egida della rivista artistica da lui fondata, appunto Mir Isskustva. La diresse dal 1898 al 1904 e, su essa, sovente difese e sostenne il movimento, battagliando nei suoi articoli contro i detrattori, essenzialmente gli Accademici e i sostenitori del movimento degli Ambulanti. Stabilita con questa lunga premessa l’affinità di Diaghilev alle poetiche retrospettiviste del Mir Isskustva, occorre ricordare un’acuta osservazione di Trombetta: (20) nel 1890 La Bella si era presentata al suo debutto quasi come un manifesto programmatico ante litteram della tendenza culturale retrospettivista che avrebbe dato luogo al Movimento del Mondo dell’Arte. Le allusioni alla musica francese del ‘600 nella partitura di Tchaikovsky, la celebrazione della corte di Luigi XIV, le atmosfere di Versailles, la magia del racconto fiabesco preludono alle ricostruzioni storiche venate di surreale dei Decadenti e rientrano nella loro poetica. L’acuta osservazione di Trombetta è in parte anticipata dalle parole dello stesso Benois: “Una delle grandi attrattive de La Belle au Bois Dormant erano i rimandi storici che evocava. Mai la musica era riuscita a resuscitare in modo così felice il lontano passato come nella scena di caccia e nell’ultimo divertissement de La Belle au Bois Dormant" (21) E’ ancora Benois ad attribuire alla musica di Tchaikovsky “un potere di suggestione così forte che chi vi si abbandona è trasportato dalla realtà in un mondo fiabesco" (22), ma si tratta della stessa qualità poetica che colloca tra realtà e fantasia le ricostruzioni storiche dei pittori retrospettivisti. Quindi il retrospettivismo – cui La Bella aderisce nella musica e nella drammaturgia - non solo è parte del clima culturale respirato da Diaghilev negli anni pietroburghesi, ma il Nostro ne avrebbe amato le poetiche per farsene promotore attraverso la rivista da lui diretta e le esposizioni da lui organizzate. Di più, Diaghilev avrebbe scelto proprio tra gli esponenti del movimento artistico (Benois, Bakst, Somov ed altri) un nucleo di collaboratori prima per dirigere la rivista, poi perché lo coadiuvassero nell’organizzazione di una serie di eventi artistici, da importanti esposizioni di pittura ai concerti alle prime Stagioni Russe parigine. Dunque, quali che siano state le ragioni contingenti che nel 1921 lo convinsero a produrre La Bella, esse trovarono terreno fertile in una passione di vecchia data per il musicista e nell’interesse per un balletto che si inquadra nella corrente artistica retrospettivista da lui stesso sostenuta in gioventù. Inoltre, a reali, complessi motivi maturati nel 1921 può essersi aggiunto l’innato gusto di sorprendere il suo pubblico; l’ipotesi non è esclusa da Lydia Sokolova: “… forse il suo spirito, amante della provocazione, era compiaciuto dall’idea di scioccare i suoi ammiratori avanguardisti, abituati al décor dei cubisti, alle spigolose coreografie di Massine e alle rivoluzionarie sonorità di Stravinsky, con quel tipo di lavoro spettacolare e melodioso, a serata intera, che era stato la regola dei Teatri Imperiali Russi fino alla rivoluzione nel balletto effettuata da Fokine, Benois e dallo stesso impresario” (23) E pure Cyril Beaumont riferisce d’aver appreso da Randolfo Barocchi, manager dei Ballets Russes, che: “… Diaghilev stava progettando una delle sue sorprese. Proprio dopo aver abituato le sue platee ad aspettarsi ad ogni stagione qualcosa di sensazionale ispirato al più recente movimento artistico o musicale, stava per fare un "volte face" producendo uno dei più celebri balletti classici” (24) Tuttavia, al di là di un possibile vezzo caratteriale, più concrete e più profonde ragioni per la scelta in apparenza inconsueta vanno forse ricercate sia nel clima culturale creatosi nell’Europa postbellica, sia nella situazione contingente in cui versava nel 1921 la compagnia diretta da Diaghilev. Sin dall’inizio, quell’anno si era prospettato irto di difficoltà: da qualche tempo erano assai tesi i rapporti tra il gelosissimo impresario e Massine. In un’occasione l’artista aveva pubblicamente manifestato interesse per Lydia Sokolova, forse scherzosamente (25), e, poi, ma questa volta con serie intenzioni, per Vera Savina, che avrebbe sposato di lì a breve (26). Dopo una serie di screzi tra i due uomini, Massine era stato allontanato dalla compagnia proprio all’inizio del 1921, a gennaio, mentre i Ballets Russes erano impegnati al Costanzi di Roma (27) Savina lasciò la compagnia poco dopo, seguita da un certo numero di ballerini di Diaghilev, che raggiunsero Massine per andare in tournée in Sud America (28). L’impresario si ritrovò con i ruoli principali da ridistribuire e con una compagnia assottigliata, da riorganizzare completamente per le imminenti rappresentazioni previste a Lione e per il futuro, che, per il momento, era ridotto a qualche settimana a Monte Carlo in primavera. Secondo Haskell l’idea di proporre La Bella gli sarebbe balenata proprio a Roma, appena dopo la perdita di Massine (29). Avrebbe tentato, invano, di coinvolgere Derain nel progetto, per poi sperare nell’aiuto di Benois, grandissimo esperto del periodo storico francese interessato (30). Ma l’amico al momento era curatore dello Hermitage e non sarebbe stato in grado di lasciare la Russia. Nel corso della diecina di recite a Lione, a metà febbraio l’impresario lasciò la compagnia a terminare gli spettacoli previsti; si recò a Parigi per stipulare un contratto per un’immediata stagione a Madrid e fece in modo che i suoi ballerini raggiungessero la Spagna momentaneamente senza di lui. A Parigi iniziò a pianificare il futuro più concretamente. Perso il coreografo che aveva riportato i Ballets Russes ai fasti degli anni di Fokine e Nijinsky, affrontò la prospettiva futura di probabili importanti stagioni della tarda primavera a Parigi e a Londra. I contratti erano ancora lontani dall’essere stipulati, ma quelle tappe erano ormai consuete e fondamentali per la compagnia. Per accaparrarsi le stagioni nelle due capitali, era imperativo integrare il vecchio repertorio con qualche novità coreografica da offrire. All’inizio di marzo Diaghilev lasciò Parigi per raggiungere la compagnia, che aveva iniziato ad esibirsi a Madrid. Si fece accompagnare da Stravinsky e dal nuovo segretario appena conosciuto e assunto, l’allora diciassettenne Boris Kochno. Secondo Haskell la presenza di Stravinsky, al tempo inseparabile compagno di viaggi di Diaghilev, contribuì a far riaffiorare l’idea di riprendere La Bella: Stravinsky era un amante della musica di Tchaikovsky ed era convinto che fosse tempo di riabilitare la musica de La Bella, accolta da una critica assai perplessa al debutto pietroburghese. (31) Diaghilev –prosegue sempre Haskellcondivideva l’opinione dell’amico e avrebbe contato sul prestigio del compositore per influenzare positivamente il pubblico. (32) In Spagna Diaghilev si occupò della mancanza di un vero coreografo cercando di avviare un membro della compagnia a quell’arte, come aveva fatto con Nijinsky e con Massine. Dopo aver sondato le aspirazioni di altri candidati, la sua scelta cadde su Thadée Slavinsky, ballerino del tutto privo di esperienza coreutica. Come già aveva fatto in passato col giovane Massine, pensò di affidare Slavinsky alla guida di Michel Larionov, affinché questi lo istruisse nell’arte della coreografia. Il suggerimento era che creassero assieme il nuovo balletto Chout, su una partitura terminata da qualche tempo da Prokofiev, (33) ma commissionata ancor prima, da parecchi anni. Il pittore accettò di raggiungere la compagnia in Spagna a marzo inoltrato e di svolgere quell’incarico mentre i Ballets Russes continuavano ad esibirsi a Madrid. Nel corso della tournée in Spagna Diaghilev affidò la responsabilità degli spettacoli a Serge Grigorieff, il régisseur della compagnia, e si recò con Stravinsky e Kochno a Siviglia “in vacanza”. (34) A Siviglia l’impresario riuscì a firmare un contratto per una lunga stagione londinese in primavera-estate e, in questo periodo, stipulò un accordo anche per una tournée parigina immediatamente precedente alla londinese, all’inizio di marzo. (35) La “vacanza” a Siviglia, ci riferisce Kochno, consisteva, per l’intero giorno, in sessioni di studio assieme a Stravinsky della partitura de La Bella e, per l’intera notte, nel giro di tutti i possibili cabaret della zona che offrissero spettacoli di canto e ballo flamenco: (36) “… dopo la sua rottura con Massine, Diaghilev non poteva sperare di rimediare più di un nuovo balletto con un coreografo neofita come Slavinsky e questo non sarebbe stato sufficiente per la successiva stagione parigina. Fu mentre applaudiva gli artisti di flamenco nei cabaret di Siviglia che ebbe l’idea di includerli nel programma dei Ballets Russes”. (37) Così l’impresario ebbe l’idea di presentare una suite di danze andaluse riorchestrate da Stravinsky in un décor di Picasso, anche se, in prima battuta, aveva pensato di affidarlo a Juan Gris. Per tale Cuadro Flamenco aveva soltanto la necessità di ingaggiare una piccola troupe di gitani, impresa che non si rivelò affatto semplice (38) ma che annullò momentaneamente il problema di rimpiazzare Massine con un coreografo di vaglia. Messe in cantiere due novità, le tournée a Parigi e a Londra erano sistemate, ma la necessità di creazioni inedite si sarebbe ripresentata per le rappresentazioni della seconda parte dell’anno. Si profila, dunque, una prima solida ragione – al di là del gusto di stupire - che potrebbe aver favorito l’idea di Diaghilev di riportare in Occidente un capolavoro quasi sconosciuto del balletto classico: la perdita di un valido coreografo e la conseguente carenza di importanti coreografie da proporre suggeriva di far ricorso a un balletto mai visto integralmente nella sua versione originale, ma già confezionato. (39) Il soggiorno a Siviglia si protrasse per reperire la piccola compagnia di gitani e, di nuovo a Madrid, nel tempo libero, Diaghilev e Stravinsky continuarono le sessioni di studio della partitura de La Bella, dilettandosi a suonarla ripetutamente sul pianoforte dell’albergo. (40) Come detto, non era una novità la passione di Diaghilev per il musicista: risaliva addirittura all’infanzia e si sarebbe alimentata durante gli anni universitari a San Pietroburgo. D’altra parte, la rinnovata passione per La Bella, mostrata nei giorni trascorsi in Spagna, trova riscontro nel clima culturale instauratosi nell’Europa dell’immediato dopoguerra. Il primo conflitto mondiale aveva insegnato a guardare alle passate proposte avanguardiste come a drammatiche emanazioni e rappresentazioni del malessere diffuso nella società d’inizio secolo. Ora appariva chiaro che le atmosfere angosciose della Brücke, le dissonanze della musica atonale, la ferocia cromatica dei fauves, le beffe dadaiste nei confronti dell'estetica erano state il riflesso della crisi dei valori, dei profondi mutamenti e delle angosce che, a inizio secolo, avevano attraversato l’Europa capitalista. Le nuove conquiste nel campo della comunicazione, dal telegrafo all'aereo alla radio, avevano polverizzato le distanze, scardinando il consueto rapporto dell'uomo con lo spazio e col tempo. L'accelerazione tecnologica aveva prepotentemente imposto nella vita dell'uomo la velocità, la Musa del futurismo, e, con essa, una nuova percezione del futuro, ma anche il bisogno di accelerare la produzione con le catene di montaggio. Il conseguente consumismo, la soffocante urbanizzazione, i mutamenti nell’ordine sociale – confluiti nella lotta di classe - avevano condotto al rifiuto di ogni tradizione e, dunque, alla perdita dell’identità. Lo stesso cubismo era stato un invito ad abbandonare le regole di una visione scelta e codificata in Occidente da quasi mezzo millennio. La ricerca di linguaggi espressivi primitivi marcava la crisi delle tecniche pittoriche usuali. Parimenti, con l’astrattismo, l’avanguardia del primo ‘900 sembrava rifiutare totalmente i modi tradizionali di rapportarsi con la realtà. In sintesi nell’immediato dopoguerra il modernismo prebellico veniva percepito come una manifestazione collaterale ai disordini che avevano messo a repentaglio la civiltà per risolversi nel sanguinoso conflitto. Pertanto, nei primi anni di pace, per reazione, si era diffuso un desiderio di “ritorno all’ordine”: l’artista sentiva la necessità di mantenere la sua ricerca ben discosta da ogni eccesso di sperimentalismo. Si offriva allo spettatore un prodotto meno destabilizzante e meno coinvolgente sotto il profilo emotivo, da gustare in modo più composto e distaccato. Crebbe l’interesse per composizioni equilibrate, chiare, rigorose, che ristabilissero un rapporto tra il presente e il passato, riabilitato, fondato sulla continuità. Lo stesso Picasso avrebbe creato di lì a poco, per la copertina del programma di sala della stagione parigina 1921 dei Ballets Russes, uno strepitoso pastello dove quattro nudi femminili si stagliano contro classici drappeggi: le immagini delle quattro figure sono ricomposte in senso figurativo riprendendo ed enfatizzando il classico stilema delle importanti volumetrie dei corpi. Il disegno risente del linguaggio espressivo maturato in seguito al suo soggiorno romano e alle visite ai musei italiani; ne verrà la celebre serie di figure e teste monumentali ispirate all'antichità. Come altri esteti del periodo postbellico, anche Diaghilev deve aver percepito che i tempi erano maturi per un diverso modernismo, meglio, per un rinnovato classicismo. E proprio La Bella sembra essere il paradigma coreutico di un prodotto apprezzato dal nuovo modernismo per la limpidezza e la serenità delle immagini proposte, per il nitore di una coreografia perfettamente controllata, confezionata con un’algida razionalità, che non lascia spazio al destabilizzante guizzo emotivo. L’inventiva della composizione è inesauribile, ma si riduce a impaginare solo moduli di matrice squisitamente accademica. Questi sono imbrigliati in strutture formali codificate a priori, armoniose, ordinate, di grande rigore. Aderisce a formule prefissate anche la struttura stessa del balletto, col convergere verso un’apoteosi regolata come un divertissement. Tutto ciò si compendia e si semplifica nell’osservazione di Haskell: “Stava diventando sempre più chiaro che era stato raggiunto un limite nel modernismo –la conclusione di una fase- e The Sleeping Princess si presentò come un riposante intervallo necessario a far evolvere il successivo passo in avanti”. (41) In effetti nelle creazioni dei Ballets Russes del dopoguerra è forte la presenza di elementi avanguardistici, ma, sovente, il loro scalpore è attenuato dal nuovo gusto per la tradizione. La direzione presa già nelle ultime quattro stagioni rivela i sintomi di una prossima “ritirata aristocratica da ogni anarchismo e da ogni clamore” (Richard Taruskin). La mediazione tra linguaggi espressivi diversi è anticipata già nel 1916 da Les Femmes de Bonne Humeur: la commedia di Goldoni e le musiche di Scarlatti ristabilivano un tranquillizzante legame col passato, mentre Massine portava la tradizione al pubblico contemporaneo con un linguaggio coreutico inedito e sperimentale, basato sul contrasto di stili, in cui la danza accademica giocava un ruolo limitato, ma era pur sempre presente. Per la parte inferiore del corpo aveva mantenuto il classico movimento armonioso della danza accademica, per la parte superiore aveva, invece, creato un linguaggio di movimenti spezzati ed angolari.(42) D’altra parte anche la modernissima gestualità frantumata, pur lontanissima dalla danse d'école, aveva radici classiche: l’aveva rubata alle macchiette che animano il vedutismo veneto del ‘700, in special modo di Francesco Guardi. Nella scena dedicata alla cena offerta da Mariuccia ai suoi ammiratori, si trovano rimandi al senso del dettaglio domestico presente in Pietro Longhi, il languore e la tristezza dei gesti dell’amante abbandonata vengono da Les Fetes Galantes di Watteau e la meccanica gestualità dello sciocco servitore Nicolò era mutuata dagli spettacoli di burattini visti a Viareggio. La sperimentazione ritorna coi coloratissimi costumi settecenteschi di Bakst caratterizzati da angoli e volumi assai importanti di derivazione palesemente cubista, funzionali ai movimenti spezzati introdotti da Massine. Invece, per la scena, Diaghilev volle un décor più convenzionale di quello inizialmente proposto, che tentava di imitare il dinamismo futurista distorcendo e incurvando le linee verticali degli edifici di una piazzetta, come riflessa in uno specchio concavo. Così la musica di Rossini per La Boutique Fantasque del 1919 e il soggetto ristabiliscono il “ritorno all’ordine” ricercato nel dopoguerra. Gli stessi costumi di Derain, pur coloratissimi, rivelano un fauvismo meno sfrenato che in passato e sono già improntati a un sobrio realismo: a seguito della sua visita in Italia, proprio del 1921, in occasione delle celebrazioni del centenario di Raffaello, Derain si orienterà verso fonti classiche. Ne El Sombrero de tres picos, ancora del 1919, anche Picasso integra linguaggi espressivi diversi. Ai dettagli analitico-narrativi del sipario accosta una scena di geometrica asciuttezza. La dissonanza è, però, stemperata dalla forte presenza di elementi curvilinei in entrambe le creazioni: gli archi dell’arena nel sipario suggeriscono una connessione con le arcate del ponte e del potente fornice che inquadra parte della scena. La foggia dei costumi è classicissima, ma ravvivata da applicazioni di tessuto in colori contrastanti, tagliato secondo forme geometriche elementari. Il racconto di Alarcon su cui è basato il soggetto e le stesse coreografie di Massine recuperano le tradizioni popolari spagnole. La sorprendente scena di Picasso per Pulcinella del 1920, appartenente ancora all’estetica cubista e incorniciata da una sintetica fascia di cielo stellato di sapore divisionista, è temperata dal maestro coi costumi in linea con la tradizione della Commedia dell’Arte. L’originalissima musica di Stravinsky riunisce, rimaneggia e armonizza temi di Pergolesi e frammenti di sonate e opere buffe settecentesche. Con Pulcinella Stravinsky decreta la fine del periodo ispirato al folklore russo e l’inizio della sua fase neoclassica, allorché, tra le due guerre, egli ed altri musicisti tornarono ad ispirarsi alla musica del ‘700 e alla musica Barocca. Invece la coreografia di Massine ben difficilmente potrebbe esser detta neoclassica, usando un linguaggio simile a quello per Les Femmes de Bonne Humeur. (43)Al contrario, lo stesso anno Massine concepì una suite di danze in stile puramente accademico per il divertissement dell'opera buffa di Cimarosa Le astuzie femminili, poi entrato in repertorio come balletto a sé dal titolo Cimarosiana. (44) Proprio in scelte come queste, secondo Taruskin, era già implicita la possibilità di produrre un balletto classico, come punto di arrivo di un percorso che reagiva alle destabilizzazioni prebelliche. Le considerazioni precedenti sono rafforzate da quelle di David Vaughan. Dopo aver ricordato che alcune proposte prebelliche di Diaghilev già mostrano il conflitto tra danza pura e danza di espressione aggiunge: “… elementi tratti dal repertorio classico dei Teatri Imperiali erano in effetti presenti nei programmi dei Ballets Russes fin dagli esordi, non fosse altro che per sfoggiare la tecnica brillante dei ballerini di Mosca e San Pietroburgo che formavano la compagnia nei primi anni [l’autore si riferisce a Giselle, alla versione in due atti del Lago e ai passi a due di Petipa e di Gorsky presentati da Diaghilev nel divertissement Le Festin o in altre occasioni]. Lo stesso Fokine non aveva rifiutato del tutto il classicismo [il riferimento è a Le Pavillon d’Armide e a Les Sylphides]. Anche durante le successive fasi della riforma (Fokine), modernismo (Nijinsky e Massine), e, infine, costruttivismo e neoclassicismo (Nijinska e Balanchine), i ballerini della compagnia di Diaghilev continuarono a studiare secondo la tecnica della classica danse d’école …… anche se le … vere ragioni [di Diaghilev] erano, suggerisce André Levinson, “combattere la Danza Classica con successo”. Sia Fokine che Massine usarono la tecnica accademica quando assecondava i loro intenti" ... (45) Dopo aver accennato ai pezzi coreutici che, al contrario, si discostarono dal classicismo per essere influenzati dalle atmosfere etniche (Fokine), dal primitivismo, dal futurismo, persino dal cinema (Massine), il pensiero di Vaughan si conclude con l’illuminante osservazione: “…Ma negli anni che seguirono la produzione di The Sleeping Princess la tecnica classica fu ripristinata come il linguaggio usualmente usato nei nuovi balletti dei Ballets Russes e in questo senso tali lavori possono essere chiamati neoclassici" (46) Rammenta Carol Lee (47) che, sull’onda dei sentimenti antigermanici postbellici, gli intellettuali avevano incominciato a rivalutare, in particolare, tematiche appartenenti alla cultura francese e ad apprezzarne la musica, sia antica che moderna. Non stupisce, dunque, che in quel clima si sia facilmente rinnovato l’amore di Diaghilev sia per un balletto della sua giovinezza che celebra la corte di Luigi XIV e i fasti di Versailles, sia per la sua musica "formalmente imitativa dello stile di Lully e Couperin" (48) fortemente allusiva alla musica francese del ‘600. Come sottolinea Richard Taruskin, (49) non va trascurata la possibilità che Diaghilev abbia voluto cedere alla tentazione di mostrare all’Europa le radici profondamente occidentali della cultura aristocratica russa, attraverso un prodotto della tradizione Imperiale, che ne assimila i fasti a quelli della corte europea di Versailles. Ecco che, sempre al di là del vezzo di stupire il suo pubblico e in aggiunta alla mancanza di un vero coreografo della compagnia, si delinea una seconda profonda ragione che darebbe un ben preciso significato alla proposta di un balletto classico post-romantico: sempre pronto a captare e a favorire ogni mutamento di clima intellettuale, l’impresario si sarebbe adeguato al “nuovo modernismo”, maturato dal desiderio di ricucire un legame col passato e dalla condanna dei violenti eccessi che lo avevano destabilizzato; non è un caso che La Bella sia il massimo esempio dei vertici artistici raggiunti in un passato “appena martirizzato dalla violenza bolscevica” (50) In accordo sembra essere Alexander Schouvaloff quando, a proposito di Diaghilev, afferma: “Il suo atteggiamento nei confronti della Rivoluzione appare ambivalente: da un lato aveva dato il benvenuto alla nuova libertà artistica e per qualche tempo aveva persino sostituito l’aquila a due teste nella scena finale de L’Oiseau de Feu con una stella rossa; d’altra parte, dal momento che la sua compagnia era diventata il simbolo dell’arte del balletto, sentiva fortemente il dovere di mantenere la tradizione classica del balletto russo, che non andava più disprezzata, ma glorificata". (51) Ma se Diaghilev iniziò ad essere tentato sin dai tempi di Roma o della tournée in Spagna dall’idea di riprendere La Bella, la prospettiva, nel contempo, lo spaventava al punto che cominciò a pensare a un intermezzo di nuova creazione per spezzare l’eventuale presentazione del vecchio balletto. (52) Si concentrò su un’operina breve di Stravinsky-Kochno, ispirata a un racconto in versi di Pushkin. Il progetto si sarebbe concretizzato con Mavra. (53) Dopo le recite a Monte Carlo, le proposte inedite di Chout e di Cuadro Flamenco conferirono il necessario tocco di novità sia alla breve stagione parigina al Gaiéte Lyrique all’inizio di Maggio, sia a una prima stagione londinese al Prince’s Theatre, che, iniziata alla fine dello stesso mese, (54) si sarebbe protratta sino alla fine di luglio. (55) Tuttavia Chout si rivelò coreuticamente debole, il che fece abortire la speranza di poter contare su Slavinsky come nuovo coreografo della compagnia. Questa restava priva di ingegni che potessero proporre nuove creazioni e si rafforzava la necessità di rivolgersi a una coreografia già pronta. Il fatto che Chout fosse una creazione ancora ancorata all’estremo modernismo non è in antitesi col rinnovato classicismo mostrato da molte proposte più recenti dei Ballets Russes. Infatti i primi progetti del balletto e le commissioni relative risalgono all’inizio del conflitto mondiale, quando Diaghilev, riparato in Svizzera, aveva cercato di ricostruire una compagnia attorno a Massine. (56) Viceversa la tiepida accoglienza da parte del pubblico nel 1921 confermava che era tempo di tenersi lontani per un po’ dalle sperimentazioni più sfogate. Mentre i Ballets Russes si esibivano a Londra, la fortunatissima commedia musicale del momento, Chu Chin Chow, stava godendo di un’interminabile programmazione nella capitale. Nella sua monografia, (57) Serge Grigoriev, il régisseur dei Ballets Russes, suggerisce che Diaghilev sia rimasto così impressionato dal successo economico del music hall da sperare di poterlo eguagliare. Si delinea, dunque, una terza ragione che potrebbe aver favorito l’idea di mettere in scena La Bella: sempre a corto di finanziamenti, a lui necessari per le sue sperimentazioni, Diaghilev potrebbe aver pensato di saldare i debiti ed accumulare capitale fresco producendo in modo sontuoso un solo, importante balletto a serata intera da tenere in cartellone per un’intera lunghissima stagione. (58) L’ipotesi avanzata da Grigoriev è ricordata da Sokolova. (59) Tuttavia – si è già detto più sopra - la ballerina si dimostra convinta che, al di là della lusinga economica, una più profonda motivazione fosse l’amore sincero che l’impresario nutriva per Tchaikovsky, “riaffiorato dopo essere rimasto in secondo piano durante il decennio di rinnovamento e sperimentazione". (60) Comunque –prosegue Sokolova- il fatto stesso che, al momento, l’Alhambra Theater risultava ancora libero per tutto il periodo invernale deve aver aperto la strada all’idea di tenere in cartellone per parecchi mesi consecutivi una creazione sostanzialmente inedita, fantasiosa e spettacolare. (61) Nel corso dell’estate, Diaghilev ebbe alcuni colloqui con Sir Oswald Stoll, il manager del teatro, per definire una stagione natalizia nel corso dell’autunno-inverno. (62) Emerse l’idea di programmare per ben sei mesi uno spettacolo sontuoso, che, oltre a rivolgersi al pubblico consueto di intenditori e ballettomani, attirasse una platea del tutto nuova, ben più vasta e popolare, mettendosi in competizione con le consuete pantomime natalizie, pur dovendo chiaramente distinguersi da queste. Una stagione di sei mesi, fortemente auspicata dall’impresario, avrebbe oltretutto coperto la ricorrenza dei 100 anni dalla nascita di Petipa. Tutto sembra favorire l’idea, in cantiere da qualche tempo, di proporre La Bella. Diaghilev prese la decisione definitiva e, a metà luglio, aveva stipulato l’accordo per portare in scena il balletto, immediatamente ribattezzato The Sleeping Princess, (63) proprio perché, dovendo competere con pantomime natalizie, fosse chiaro che si trattava di qualcosa di alternativo. Il dado era tratto; subito dopo, a fine luglio, terminata la stagione londinese al Prince’s Theatre, la compagnia si sciolse per godersi la vacanza, assai breve in vista dell’enorme lavoro che aspettava i ballerini, ma già in agosto Diaghilev si gettò a capofitto nell’impresa titanica. BIBLIOGRAFIA [B1] Cyril W, Beaumont, Complete Book of Ballets, Putnam, London, 1937 [B2] Cyril W, Beaumont, The Diaghilev Ballet in London, Putnam, London, 1940 [Be1] Alexandre Benois, Memoirs, I, II, (trad. Moura Budberg), Chatto, London 1964 [Be2] Alexandre Benois, Reminiscences of the Russian Ballet, (trad. Mary Britnieva), Putnam, London, 1941 [Bu] Richard Buckle, Diaghilev, Weidenfeld, London 1993 [Ga] Lynn Garafola, Nancy Van Norman Baer (editors), The Ballets Russes and its World, Yale University Press, New Haven and London, 1999 [Gr] S. L. Grigoriev, The Diaghilev Ballet 1909-1929, Constable, 1953 [Ha] Arnold Haskell (con Walter Nouvel), Diaghilev – His Artistic and Private Life, Victor Gollancz ltd., London 1935 [Ko] Boris Kochno, Diaghilev and the Ballets Russes, Harper & Row Publishers, New York & Evanston, 1970 [Kod] Ann Kodicek, Diaghilev, creator of the Ballets Russes, art – music – dance, Barbican Art Gallery, Lund Humphries Publishers, London 1996 [Le] Carol Lee, Ballet in Western Culture, a History of its origins and evolution, Taylor & Francis, Routledge, 2002 [Li] Serge Lifar, Serge Diaghilev, his life his work his legend, an Intimate Biography, Putnam, London 1940 [RS] Susan Reimer Sticklor, The Sleeping Princess: An Analysis of Her Failure to Charm, Dance Research Journal, Vol. 8, No. 1 (Autumn, 1975 - Winter, 1976), pp. 18-22, University of Illinois Press on behalf of Congress on Research in Dance [Sc] Alexander Schouvaloff, The Art of Ballets Russes, Yale University Press, 1997 [So] Lydia Sokolova, Dancing for Diaghilev, The Memoirs of Lydia Sokolova, ed. Richard Buckle John Murray (publishers) Limited, 1960 [Ta] Richard Taruskin, Stravinsky and the Russian Traditions, A Biography of the Works through Mavra, Vol. II, Oxford University Press, 1996 [Tr] Sergio Trombetta, Vaslav Nizinskij, L’Epos, Palermo (2008) (i numeri di pagina citati si riferiscono allo stralcio pubblicato nel libretto di sala “Diaghilev Musagete”, Teatro dell’Opera di Roma, 2009 NOTE (1) ([Bu] pag. 161, 162, 164) (2) ([RS] pag. 1) (3) (Beaumont, [B1] pag. 588) (4) ([B1] pag. 588) (5) ([Sc] pag. 89) (6) (Buckle, [Bu] pag. 393) (7) (Buckle, [Bu] pag. 392) (8) ([Bu] pag. 392) (9) ([Sc] pag. 101) in The Sunday Times del 6 novembre 1921 (10) ([Bu] pag. 392) (11) ([Bu] pag. 393) (12) ([Sc] pag. 89) (13) (per tutte le considerazioni del paragrafo si veda anche [RS] pag. 1) (14) ([B1] pag. 582) (15) (Filosofov; cfr. [Li], pag. 16) (16) (Benois, Memoirs II, [Be1] pag. 59) (17) ([Bu] pag. 17-21) (18) ([Bu] pag.22, 23) (19) (Diaghilev, cfr. Buckle, [Bu] pag. 23) (20) ([Tr] pag. 25, 27) (21) (Benois, [Be2] pag. 124) (22) (Benois, [Be2] pag. 126) (23) (Sokolova, ([So] pag. 185) (24) (Beaumont, [B2] pag. 191) (25) ([So] pag. 168) (26) ([Bu] pag. 370) (27) ([So] pag. 170-171), ([Bu] pag. 370-371) (28) ([Bu] pag. 371). (29) ([Ha] pag. 319) (30) ([Ha] pag. 319) (31) (Haskell, [Ha] pag. 317) (32) ([Ha] pag. 317) (33) ([So] pag. 174, [Bu] pag. 377-378) (34) ([Ko] pag. 162) (35) ([Ha] pag. 313) (36) ([Ko] pag. 162) (37) (Kochno, [Ko] pag. 164) (38) ([Bu] pag. 378, [So] pag. 174, [Ko] pag. 164-166) (39) (si veda anche Susan Reimer Sticklor, [RS] pag. 1) (40) ([Bu] pag. 379) (41) ([Ha] pag. 315) (42) (Vaughan, [Ga] pag. 158-159) (43) (Vaughan, [Ga] pag. 159) (44) (Vaughan, [Ga] pag. 159) (45) (Vaughan, [Ga] pag. 153-156) (46) (Vaughan, [Ga] pag. 157) (47) ([Le] pag. 263) (48) (Benois, [Be2] pag. 132) (49) ([Ta] pag. 1510), (50) (ancora Richard Taruskin, [Ta] pag. 1511) (51) (Schouvaloff, [Sc] pag. 87) (52) ([Bu] pag. 379) (53) ([Bu] pag. 379) (54) ([Bu] pag. 381-383) (55) ([Bu] pag. 387) (56) ([Ha] pag. 293) (57) ([Gr]) (58) (si veda anche Sticklor [RS] pag. 1) (59) ([So] pag. 185) (60) ([So] pag. 185) (61) ([So] pag. 185) (62) ([Bu] pag. 386) (63) ([Bu] pag. 386) Marino Palleschi Balletto.net CURIOSITA'
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