Marino Palleschi
Picasso, la danza e otto settimane in Italia
Gli anni in cui furono rappresentati Parade e Mercure, il 1917 e il 1924 rispettivamente, racchiudono l’arco di tempo in cui Picasso è rimasto legato ai Ballets Russes di Diaghilev contribuendo alla realizzazione di importanti balletti voluti dall’impresario.
Ora, proprio in questo intervallo temporale e in queste incursioni molto significative nel mondo della danza, Picasso mostra per la prima volta un comportamento inedito nella scelta del linguaggio espressivo, che conserverà nella restante produzione.
Nei bozzetti per Parade l'artista propone una dissonanza tra lo stile realistico e narrativo del sipario e la modernità con cui disegna lo scenario e i costumi dei manager, di marcata matrice cubista. Stile, quest’ultimo, contrapposto al precedente nel restituire una realtà non più in modo soggettivo secondo la percezione visiva, ma nel modo più oggettivo possibile, secondo la conoscenza interiore della stessa. Per la prima volta nella produzione di Picasso coesistono mezzi espressivi e stili diversi.
In passato Picasso aveva già praticato una pittura basata sul sensibile, per abbandonarla alla comparsa del cubismo. Con Parade non solo ritorna alle esperienze passate, ma, da questo momento, fa venir meno l’unicità del linguaggio espressivo.
Ora, proprio in questo intervallo temporale e in queste incursioni molto significative nel mondo della danza, Picasso mostra per la prima volta un comportamento inedito nella scelta del linguaggio espressivo, che conserverà nella restante produzione.
Nei bozzetti per Parade l'artista propone una dissonanza tra lo stile realistico e narrativo del sipario e la modernità con cui disegna lo scenario e i costumi dei manager, di marcata matrice cubista. Stile, quest’ultimo, contrapposto al precedente nel restituire una realtà non più in modo soggettivo secondo la percezione visiva, ma nel modo più oggettivo possibile, secondo la conoscenza interiore della stessa. Per la prima volta nella produzione di Picasso coesistono mezzi espressivi e stili diversi.
In passato Picasso aveva già praticato una pittura basata sul sensibile, per abbandonarla alla comparsa del cubismo. Con Parade non solo ritorna alle esperienze passate, ma, da questo momento, fa venir meno l’unicità del linguaggio espressivo.
Nel febbraio del 1917, accompagnato da Jean Cocteau, il pittore si reca a Roma per unirsi a Diaghilev ed elaborare la scenografia di Parade. Questo soggiorno italiano durerà otto settimane e sarà determinante per la vita personale e artistica di Picasso.
Il pittore socializza con Massine, Satie, Stravinsky e lo stesso impresario. Nelle pause dal lavoro, va in gita a Posillipo coi nuovi amici, li ritrae in disegni e caricature, esplora le rovine classiche di Ercolano e Pompei e tra queste si fa immortalare negli scatti fotografici di Cocteau.
Queste frequentazioni e le visite ai luoghi d’arte hanno una precisa ricaduta. Lo stile di vita italiano, le suggestioni esercitate dalle stampe popolari ammirate nei musei napoletani, le scene folkloristiche della pittura romana dell’800 conosciuta nella capitale, enfatizzano quanto Picasso aveva già appreso dalla nativa andalusia e dallo spirito catalano assorbito a Barcellona. Si tratta di una solarità mediterranea e del gusto gioioso per i momenti di vita quotidiana dell’uomo della strada, che ben si prestano alla trattazione realistica.
Il sipario di Parade è pretesto per un’immagine popolaresca, indebitata nella impaginazione alla cultura figurativa romana: la siesta dei commedianti dopo un banchetto, goduta trattenendosi a tavola, in compagnia di un cane accucciato.
Quasi a sottolineare l’approccio descrittivo nel rappresentare il quotidiano, il pittore coglie i personaggi in un momento di rilassatezza dopo, non durante l’azione che li ha portati in quel luogo e che rimane così sottointesa: i commedianti non sono in scena e neppure stanno mangiando, ma si godono la siesta.
Il pittore socializza con Massine, Satie, Stravinsky e lo stesso impresario. Nelle pause dal lavoro, va in gita a Posillipo coi nuovi amici, li ritrae in disegni e caricature, esplora le rovine classiche di Ercolano e Pompei e tra queste si fa immortalare negli scatti fotografici di Cocteau.
Queste frequentazioni e le visite ai luoghi d’arte hanno una precisa ricaduta. Lo stile di vita italiano, le suggestioni esercitate dalle stampe popolari ammirate nei musei napoletani, le scene folkloristiche della pittura romana dell’800 conosciuta nella capitale, enfatizzano quanto Picasso aveva già appreso dalla nativa andalusia e dallo spirito catalano assorbito a Barcellona. Si tratta di una solarità mediterranea e del gusto gioioso per i momenti di vita quotidiana dell’uomo della strada, che ben si prestano alla trattazione realistica.
Il sipario di Parade è pretesto per un’immagine popolaresca, indebitata nella impaginazione alla cultura figurativa romana: la siesta dei commedianti dopo un banchetto, goduta trattenendosi a tavola, in compagnia di un cane accucciato.
Quasi a sottolineare l’approccio descrittivo nel rappresentare il quotidiano, il pittore coglie i personaggi in un momento di rilassatezza dopo, non durante l’azione che li ha portati in quel luogo e che rimane così sottointesa: i commedianti non sono in scena e neppure stanno mangiando, ma si godono la siesta.
D’altra parte, sono ancora le esperienze avute in Italia se non proprio a determinare, almeno ad orientare Picasso verso la scelta cubista per le figure dei manager in Parade. All’epoca dell’incontro di Picasso con Diaghilev i Ballets Russes erano impegnati al Costanzi di Roma con Feu d’artifice, un balletto di Giacomo Balla in cui luci e voci amplificate dal megafono sostituivano i ballerini. Picasso assisteva con assiduità alle prove e alle rappresentazioni dei Ballets Russes e, quando non c’era spettacolo, visitava i musei Vaticani in compagnia di Prampolini. Questi incontri in aggiunta a quelli con Depero e Marinetti avvicinano Picasso alle tematiche futuriste.
Ed ecco che lo stesso Picasso introduce nel balletto, oltre a un cavallo, due personaggi non previsti, i due manager. Il fine è portare in scena la frenesia della metropoli, il fascino della macchina e le varie tipologie della società contemporanea. Allo scopo si presta molto bene il cubismo sintetico che suggerisce di sovrapporre a un costume-base superfici piane che rimandino ai temi futuristi: grattacieli e pantaloni da cow boy per il manager americano; case immerse nel verde, pipa e abiti eleganti per il manager francese. E in scena ci sono il mondo nuovo, l’America, potente ma un po’ rozza e la raffinata vecchia Europa. Tuttavia, come osserva Kochno, anche questo approccio cubista ha un rimando classico ai costumi seicenteschi per l’Opéra, decorati da Berain con strumenti e oggetti simbolo dell’attività artigianale del personaggio rappresentato.
Ed ecco che lo stesso Picasso introduce nel balletto, oltre a un cavallo, due personaggi non previsti, i due manager. Il fine è portare in scena la frenesia della metropoli, il fascino della macchina e le varie tipologie della società contemporanea. Allo scopo si presta molto bene il cubismo sintetico che suggerisce di sovrapporre a un costume-base superfici piane che rimandino ai temi futuristi: grattacieli e pantaloni da cow boy per il manager americano; case immerse nel verde, pipa e abiti eleganti per il manager francese. E in scena ci sono il mondo nuovo, l’America, potente ma un po’ rozza e la raffinata vecchia Europa. Tuttavia, come osserva Kochno, anche questo approccio cubista ha un rimando classico ai costumi seicenteschi per l’Opéra, decorati da Berain con strumenti e oggetti simbolo dell’attività artigianale del personaggio rappresentato.
Durante il suo soggiorno in Italia, tra i collaboratori dei Ballets Russes, Picasso trova anche l’amore in Olga Kokhlova, che sposerà ben presto e che gli darà il figlio Paul. Il celebre ritratto della ballerina di Diaghilev è dipinto nel 1917, l’anno di Parade, col ritorno all’accurato realismo che l’artista aveva abbandonato dopo i periodi blu e rosa. A questo proposito il naturalismo con cui è trattato il volto triste di Olga ha fatto parlare gli storici dell’arte di un rimando alla classicità di Ingres, riscontrabile anche in altri lavori del periodo. Nello stesso anno l’artista conferma la recente apertura all’impiego del tutto libero di diversi stili espresssivi dipingendo La niña italiana come opera rigorosamente cubista.
Tuttavia, come i costumi dei manager di Parade avevano un richiamo classico nel loro costruttivismo, così le più recenti sperimentazioni cubiste si riflettono sullo stile classico: il decoro floreale dello scialle di Olga, proprio nel suo realismo, risente del procedimento di collage, sperimentato nello stile cubista per una resa ancor più oggettiva della realtà mediante l’uso di frammenti della stessa.
Tuttavia, come i costumi dei manager di Parade avevano un richiamo classico nel loro costruttivismo, così le più recenti sperimentazioni cubiste si riflettono sullo stile classico: il decoro floreale dello scialle di Olga, proprio nel suo realismo, risente del procedimento di collage, sperimentato nello stile cubista per una resa ancor più oggettiva della realtà mediante l’uso di frammenti della stessa.
L’integrazione dei due linguaggi espressivi si evidenza ulteriormente con la produzione di El Sombrero de tres picos del 1919. Come nel caso di Parade, anche nel sipario del nuovo balletto si dà vita a una scena popolare: un gruppetto di spettatori indugia nell’arena, terminata la corrida, per le ultime chiacchiere. La trattazione del tema è ancora realistica e il momento colto non è quello carico di tensione della corrida in atto, ma il successivo, dedicato alle ultime conversazioni prima del ritorno a casa.
Il contrasto tra lo stile narrativo del sipario e quello di scene e costumi è meno marcato di quello proposto in Parade, anche per i sottili richiami che ciascuna trattazione fa scivolare nell’altra. Ai dettagli analitici del sipario, Picasso accosta una scena di geometrica asciuttezza: pochi segmenti rettilinei e archi di circonferenze compongono un paesaggio essenziale fatto di qualche casa, un’arcata, un ponte e un paesino lontano. La dissonanza è stemperata proprio dagli elementi curvilinei che suggeriscono una connessione con gli archi dell’arena nel sipario. Ai vividi colori di questo si contrappongono i toni quasi neutri della scena, così voluti per far risaltare i coloratissimi costumi. La foggia di questi è classicissima: per gli uomini una redingote di fine 700, però decorata con applicazioni contrastanti di tessuto nero o bianco, ma anche colorato, tagliato secondo forme geometriche elementari. Sono questi dettagli preziosi a creare, durante le danze, un turbinio di linee e geometrie che si stagliano sulla scena tenuta in sordina.
In conclusione, anche nella produzione di El sombrero de tres picos sono presenti linguaggi espressivi e cromie di diverso sapore. Tuttavia i precisi rimandi di un tipo di trattazione all’altra e la mutua funzionalità delle caratteristiche di ciascuna forniscono generose boccate d’ossigeno al décor nella sua globalità.
Il contrasto tra lo stile narrativo del sipario e quello di scene e costumi è meno marcato di quello proposto in Parade, anche per i sottili richiami che ciascuna trattazione fa scivolare nell’altra. Ai dettagli analitici del sipario, Picasso accosta una scena di geometrica asciuttezza: pochi segmenti rettilinei e archi di circonferenze compongono un paesaggio essenziale fatto di qualche casa, un’arcata, un ponte e un paesino lontano. La dissonanza è stemperata proprio dagli elementi curvilinei che suggeriscono una connessione con gli archi dell’arena nel sipario. Ai vividi colori di questo si contrappongono i toni quasi neutri della scena, così voluti per far risaltare i coloratissimi costumi. La foggia di questi è classicissima: per gli uomini una redingote di fine 700, però decorata con applicazioni contrastanti di tessuto nero o bianco, ma anche colorato, tagliato secondo forme geometriche elementari. Sono questi dettagli preziosi a creare, durante le danze, un turbinio di linee e geometrie che si stagliano sulla scena tenuta in sordina.
In conclusione, anche nella produzione di El sombrero de tres picos sono presenti linguaggi espressivi e cromie di diverso sapore. Tuttavia i precisi rimandi di un tipo di trattazione all’altra e la mutua funzionalità delle caratteristiche di ciascuna forniscono generose boccate d’ossigeno al décor nella sua globalità.
Nei giorni trascorsi a Roma da Picasso nel 1917, al Costanzi era di scena Le donne di buon umore, oltre al balletto futurista di Depero. Il clima italianissimo ricreato dallo spettacolo, ispirato al lavoro di Goldoni, congiunto alle visite ai musei partenopei, riavvicina Picasso al mondo dei saltimbanchi, degli arlecchini e delle ballerine, abbandonato dopo i periodi blu e rosa a favore del cubismo. Ora, però, agli acrobati il pittore preferisce le maschere della commedia dell’arte.
Questo mondo è trattato realisticamente, come in passato, ma anche secondo i dettami del cubismo sintetico. In analogia a quanto fatto per i popolani nei due sipari, anche gli arlecchini, se rappresentati in modo classico, saranno colti in un momento ripetitivo di rilassatezza: mentre si guardano allo specchio, mentre si nutrono, mentre riposano. In versione cubista la loro eventuale attività è meno legata alle pause nella vita privata dell’uomo che incarna la maschera.
Nel 1920 l’artista porterà in teatro il suo interesse per la commedia dell’arte, occupandosi del balletto Pulcinella. Quando Diaghilev boccerà senza appello l’idea di vestirne i personaggi in abiti del secondo impero, a Picasso torneranno utili le gite a Napoli, i ricordi delle belle stampe di Pulcinella e delle collezioni relative al teatro napoletano, che tanto lo avevano impressionato nella visita al Museo di San Martino. Il bozzetto per il costume di Pulcinella dell’omonimo balletto è quasi una sintesi dei due stili privilegiati in questi anni dal pittore. Prevale la visione realistica, ma la trattazione plastica delle pieghe della blusa e la luminosità del colore non sono del tutto estranee al cubismo.
Questo mondo è trattato realisticamente, come in passato, ma anche secondo i dettami del cubismo sintetico. In analogia a quanto fatto per i popolani nei due sipari, anche gli arlecchini, se rappresentati in modo classico, saranno colti in un momento ripetitivo di rilassatezza: mentre si guardano allo specchio, mentre si nutrono, mentre riposano. In versione cubista la loro eventuale attività è meno legata alle pause nella vita privata dell’uomo che incarna la maschera.
Nel 1920 l’artista porterà in teatro il suo interesse per la commedia dell’arte, occupandosi del balletto Pulcinella. Quando Diaghilev boccerà senza appello l’idea di vestirne i personaggi in abiti del secondo impero, a Picasso torneranno utili le gite a Napoli, i ricordi delle belle stampe di Pulcinella e delle collezioni relative al teatro napoletano, che tanto lo avevano impressionato nella visita al Museo di San Martino. Il bozzetto per il costume di Pulcinella dell’omonimo balletto è quasi una sintesi dei due stili privilegiati in questi anni dal pittore. Prevale la visione realistica, ma la trattazione plastica delle pieghe della blusa e la luminosità del colore non sono del tutto estranee al cubismo.
Anche per la scena di Pulcinella Picasso fatica a concepire una proposta che risponda alle esigenze di Diaghilev. Questi aveva scartato tutta una serie di progetti che Picasso aveva sviluppato in modo naturalistico addirittura mettendo in primo piano la struttura di un finto teatro: il San Carlo di Napoli per una prima versione e l’Opéra di Parigi per la seconda. I palchi animati da un pubblico elegante racchiudevano una strada di Napoli, anch’essa naturalistica, illuminata dalla luna.
La soluzione soddisfacente sarà trovata mutando lo stile: passerà alla storia un gioiello di astrazione geometrica ottenuto squadernando superfici piane appuntite. La prospettiva del gruppo di case è di impianto decisamente cubista; a racchiuderla, al posto dei palchi e dei gialli, rossi e bianchi, compare una sintetica fascia di cielo stellato, indebitata al divisionismo di Severini e giocata su tinte fredde come il paesaggio che racchiude. Le tre versioni hanno in comune l’idea di incorniciare il paesaggio mediante una struttura, elaborata nel caso degli interni di teatro, essenziale nella versione finale. E’ plausibile che questo voglia essere un richiamo alla scatola concepita da Benois per Petrushka, se è vero che i due burattini sono in stretta parentela.
La soluzione soddisfacente sarà trovata mutando lo stile: passerà alla storia un gioiello di astrazione geometrica ottenuto squadernando superfici piane appuntite. La prospettiva del gruppo di case è di impianto decisamente cubista; a racchiuderla, al posto dei palchi e dei gialli, rossi e bianchi, compare una sintetica fascia di cielo stellato, indebitata al divisionismo di Severini e giocata su tinte fredde come il paesaggio che racchiude. Le tre versioni hanno in comune l’idea di incorniciare il paesaggio mediante una struttura, elaborata nel caso degli interni di teatro, essenziale nella versione finale. E’ plausibile che questo voglia essere un richiamo alla scatola concepita da Benois per Petrushka, se è vero che i due burattini sono in stretta parentela.
L’idea del teatro nel teatro, scartata da Diaghilev per Pulcinella, viene invece ripresa da Picasso nel 1921 per ambientare le danze andaluse tradizionali di Cuadro flamenco. L’ispirazione per i costumi non si discosta dalle fogge usuali di quelli indossati dai danzatori di flamenco.
L’ultimo lavoro completo veramente originale di Picasso presentato da Diaghilev è Mercure. Per la precisione esso fu creato nel 1924 non per Diaghilev, ma per le Soirées de Paris di Etienne de Beaumont e Diaghilev se ne incapricciò al punto da acquistarlo dal conte per farlo entrare nel repertorio dei suoi Ballets Russes, che lo presentarono nel 1927.
Qui Picasso usa una nuova forma di cubismo per addentrarsi nel mondo del surreale.
Il sipario è animato da un arlecchino bianco che accorda la sua chitarra e un pierrot rosso con un violino. La trattazione è cubista, ma si tratta del cubismo fluido o cubismo curvilineo, caratteristico delle nature morte contemporanee di Picasso. In esso le forme sono, più che definite, avviluppate da curve tracciate con continuità e senza punti angolari. L’artificio conferisce un senso di dinamismo, che sarà il motivo conduttore dell’intera produzione.
L’ultimo lavoro completo veramente originale di Picasso presentato da Diaghilev è Mercure. Per la precisione esso fu creato nel 1924 non per Diaghilev, ma per le Soirées de Paris di Etienne de Beaumont e Diaghilev se ne incapricciò al punto da acquistarlo dal conte per farlo entrare nel repertorio dei suoi Ballets Russes, che lo presentarono nel 1927.
Qui Picasso usa una nuova forma di cubismo per addentrarsi nel mondo del surreale.
Il sipario è animato da un arlecchino bianco che accorda la sua chitarra e un pierrot rosso con un violino. La trattazione è cubista, ma si tratta del cubismo fluido o cubismo curvilineo, caratteristico delle nature morte contemporanee di Picasso. In esso le forme sono, più che definite, avviluppate da curve tracciate con continuità e senza punti angolari. L’artificio conferisce un senso di dinamismo, che sarà il motivo conduttore dell’intera produzione.
Gran parte dello scenario è costituito da strutture di fili metallici dipinti in nero, di aste flessibili e di pannelli di cartone. La sensazione di movimento fluido è resa sia accorpando i materiali secondo linee curve molto morbide e superfici ondulate, sia conferendo agli scheletri meccanici la possibilità concreta di movimento. Alcune di queste forme sinuose rimandano a carri, cavalli e oggetti in assonanza col tema del balletto: episodi della mitologia greca in relazione ai vari aspetti di Mercurio.
Altre strutture mobili erano un doppio virtuale dei personaggi reali, i ballerini, e, allorché un danzatore era fermo dietro all’ossatura meccanica che lo rappresentava, questa si muoveva in accordo con la gestualità dell’interprete.
L’artificio serve a Picasso per affrontare, in termini plastici, le domande che in quegli anni si ponevano Pirandello e i surrealisti attorno ai confini tra realtà e immaginazione.
Come esplicitamente annunciato il balletto era, più che altro, una serie di pose plastiche e l’assenza di una vera trama evidenziò il lavoro di Picasso. Alcuni surrealisti, venuti a fischiare la musica di Satie, finirono, Breton in testa, con l’entusiasmarsi per la proposta di Picasso.
Altre strutture mobili erano un doppio virtuale dei personaggi reali, i ballerini, e, allorché un danzatore era fermo dietro all’ossatura meccanica che lo rappresentava, questa si muoveva in accordo con la gestualità dell’interprete.
L’artificio serve a Picasso per affrontare, in termini plastici, le domande che in quegli anni si ponevano Pirandello e i surrealisti attorno ai confini tra realtà e immaginazione.
Come esplicitamente annunciato il balletto era, più che altro, una serie di pose plastiche e l’assenza di una vera trama evidenziò il lavoro di Picasso. Alcuni surrealisti, venuti a fischiare la musica di Satie, finirono, Breton in testa, con l’entusiasmarsi per la proposta di Picasso.
I temi e i linguaggi espressivi ai quali si è fatto cenno non esauriscono certamente l’universo sterminato di Picasso. A differenza dagli altri maestri del Novecento, Picasso non ha mai voluto concludere la sua ricerca scegliendo una cifra stilistica finale con cui raccontarci la sua vicenda umana e che lo caratterizzasse.
Ha sempre assecondato gli stimoli nuovi e ha sempre trovato soluzioni inedite per raccontarci le esperienze di vita. Qui si è fatto cenno soltanto alla poetica che si ritrova nel lavoro dell’artista per i Ballets Russes e che ha radici, più o meno profonde, nel soggiorno italiano.
La permanenza a Roma ha stimolato anche altri poli di interesse artistico al di fuori dalle esperienze per il balletto.
Le visite alla Galleria Borghese e ad altri musei di Roma, Napoli e Firenze sono alla base del classicismo maestoso riscontrabile nel nuovo tema: la serie di figure e di teste monumentali ispirate all’antichità. Successivamente Picasso farà confluire l’imponente classicità nel nuovo soggetto delle sue tele, la maternità, tema particolarmente sentito dopo che Olga gli avrà dato il figlio Paul.
Riassumendo, Picasso ha contribuito alla produzione di sei balletti importanti dei Ballets Russes: Parade (1917), El sombrero de tres picos (1919), Pulcinella (1920) Cuadro Flamenco (1921); Mercure (1924) è stato l’ultimo lavoro per Diaghilev, di cui si è occupato integralmente; ha fornito il sipario pure per Le train bleu (1924), ma si trattava di un ingrandimento de La corsa, un lavoro del 1922, non una creazione ad hoc. A questi sei si aggiunge la proposta, scartata da Diaghilev, di un sipario per la ripresa del 1922 de L’Après-midi d’un faune. Di questo periodo è pure il lavoro di Picasso per la riduzione teatrale di Cocteau dell’Edipo re di Sofocle.
Alla fine del 1924 Picasso prende le distanze dai Ballets Russes, il matrimonio con Olga entra in crisi, inizia il decennio di lontananza dal teatro. Vi tornerà per un balletto di Roland Petit, Le rendez-vous, e per qualche progetto dell’amico Lifar, in particolare per Icare, ma è ai Ballets Russes che Picasso ha dato il suo contributo più significativo al mondo dello spettacolo.
Ha sempre assecondato gli stimoli nuovi e ha sempre trovato soluzioni inedite per raccontarci le esperienze di vita. Qui si è fatto cenno soltanto alla poetica che si ritrova nel lavoro dell’artista per i Ballets Russes e che ha radici, più o meno profonde, nel soggiorno italiano.
La permanenza a Roma ha stimolato anche altri poli di interesse artistico al di fuori dalle esperienze per il balletto.
Le visite alla Galleria Borghese e ad altri musei di Roma, Napoli e Firenze sono alla base del classicismo maestoso riscontrabile nel nuovo tema: la serie di figure e di teste monumentali ispirate all’antichità. Successivamente Picasso farà confluire l’imponente classicità nel nuovo soggetto delle sue tele, la maternità, tema particolarmente sentito dopo che Olga gli avrà dato il figlio Paul.
Riassumendo, Picasso ha contribuito alla produzione di sei balletti importanti dei Ballets Russes: Parade (1917), El sombrero de tres picos (1919), Pulcinella (1920) Cuadro Flamenco (1921); Mercure (1924) è stato l’ultimo lavoro per Diaghilev, di cui si è occupato integralmente; ha fornito il sipario pure per Le train bleu (1924), ma si trattava di un ingrandimento de La corsa, un lavoro del 1922, non una creazione ad hoc. A questi sei si aggiunge la proposta, scartata da Diaghilev, di un sipario per la ripresa del 1922 de L’Après-midi d’un faune. Di questo periodo è pure il lavoro di Picasso per la riduzione teatrale di Cocteau dell’Edipo re di Sofocle.
Alla fine del 1924 Picasso prende le distanze dai Ballets Russes, il matrimonio con Olga entra in crisi, inizia il decennio di lontananza dal teatro. Vi tornerà per un balletto di Roland Petit, Le rendez-vous, e per qualche progetto dell’amico Lifar, in particolare per Icare, ma è ai Ballets Russes che Picasso ha dato il suo contributo più significativo al mondo dello spettacolo.