Marino Palleschi
Romeo e Giulietta. Le versioni del balletto
La tragedia di Shakespeare, con la quale si sono cimentati i maggiori maestri del XX secolo impegnati nella danza narrativa, ha ispirato un grandissimo numero di interpretazioni coreografiche, a partire dal Giulietta e Romeo di Eusebio Luzzi, coreografato nel 1785 su musica di Luigi Marescalchi per il Teatro San Samuele di Venezia e seguito due anni dopo dalla creazione omonima di Filippo Beretti su musica di Vincenzo Martin per la Scala di Milano e nel 1811 da quella di Vincenzo Galeotti, il padre del balletto Danese, che proprio nel ruolo di Frate Lorenzo fece, a 78 anni, la sua ultima apparizione sulle scene di Copenhagen. Nella sua versione, concepita su musica di Klaus Nielsen Schall per il Royal Danish Ballet, il ruolo di Giulietta fu creato dalla cognata del compositore, Margrethe Schall, mentre quello di Romeo fu interpretato da Antoine Bournonville, il padre di Augusto. La prima produzione russa del balletto è verosimilmente quel Romeo e Julia creato nello stesso periodo, precisamente nel 1809, a San Pietroburgo da Ivan Ivanovitch Valberkh, il creatore del ballet d'action russo: questa, tuttavia, non è propriamente ispirata alla tragedia di Shakespeare, ma a un'opera sul tema del compositore Daniel Steibelt. Lo stesso musicista tedesco rivisitò lo spartito del suo lavoro per venire incontro alle esigenze coreografiche. Ottimo mimo, lo stesso Valberk interpretò Romeo in questa curiosa versione dove Romeo, recatosi nella tomba di Giulietta, veniva scoperto dal padre di lei e i rumori dovuti alla lotta conseguente e all'intervento del promesso sposo di Giulietta risvegliavano in tempo la giovane, consentendo un lieto fine inclusivo della riconciliazione delle due famiglie.
Di un secolo dopo è una perfetta sintesi di balletto e tragedia, che si ispira a Shakespeare utilizzando anche musiche del suo tempo: nel 1924 Jean Cocteau riprese un breve adattamento della tragedia, già da lui condensata in precedenza, per le Les Soirées de Paris del Conte Etienne de Beaumont, dirette da Léonide Massine. L’azione interamente mimata e accompagnata da musica suonata da cornamuse scozzesi fu rappresentata al Théâtre de la Cigale a Parigi e la produzione si caratterizzò per interessanti artifici scenici concepiti da Cocteau, Valentine e Jean Hugo, per i quali si rimanda all’articolo Soireés de Paris. Lo stesso Cocteau interpretò la parte di Mercuzio.
Poco dopo Bronislava Nijinska creò il suo Romeo e Giulietta su Serge Lifar e Tamara Karsavina per la stagione del 1926 dei Ballets Russes di Diaghilev. Il balletto futurista della Nijinska, su musica di Constant Lambert, collocava l'azione tra le quinte di un teatro, rappresentando le prove di una compagnia su un palcoscenico sostanzialmente vuoto, con pochi elementi forniti da Joan Mirò e Max Ernst. Giulietta arrivava in ritardo alle prove e Romeo si presentava vestito da aviatore; seguiva un passo a due d'amore imperniato su riferimenti umoristici alla tragedia di Shakespeare. Durante la successiva prima rappresentazione i due protagonisti si abbandonavano alla passione che già li aveva colti durante le prove e rivivevano in prima persona la storia d’amore dei personaggi da loro interpretati al punto di concludere la prima recita della compagnia con la loro fuga in aereoplano. Un giovane George Balanchine curò l'entr’acte. Dopo l'accoglienza favorevole a Montecarlo, alla prima parigina i leader del movimento surrealista contestarono la partecipazione di Ernst e Mirò all'impresa dipinta come capitalistica. Si rimanda all’articolo Uno scandalo surrealista per alcuni dettagli sulla produzione e sulla protesta sollevata alla ripresa parigina.
Nel 1943 Anthony Tudor, concentrandosi sui sentimenti più intimi che legavano la coppia di amanti, ha creato per il Ballet Theatre alla Metropolitan Opera House di New York più una lirica riflessione sul dramma dei due giovani infelici che un vero balletto narrativo; il lavoro, in un atto, sui poemi sinfonici di Frederick Delius arrangiati da Antal Dorati, è stato interpretato per la prima volta da Alicia Markova, da Hugh Laing, dallo stesso Tudor nella parte di Tebaldo e da Jerome Robbins in quella di Benvolio. L’approccio essenzialmente romantico, il rilievo dato al mondo interiore di Giulietta e ai sentimenti dei personaggi avrebbero influenzato, almeno nei passaggi essenziali, molte produzioni a venire. Tudor si ispirò ai dipinti di Botticelli, ai quali guardò pure Eugene Berman per il décor. Nel 1971, in una ripresa dello spettacolo, l'American Ballet Theatre affidò il ruolo di Giulietta a Carla Fracci, che ottenne un successo assolutamente trionfale.
Poco dopo Bronislava Nijinska creò il suo Romeo e Giulietta su Serge Lifar e Tamara Karsavina per la stagione del 1926 dei Ballets Russes di Diaghilev. Il balletto futurista della Nijinska, su musica di Constant Lambert, collocava l'azione tra le quinte di un teatro, rappresentando le prove di una compagnia su un palcoscenico sostanzialmente vuoto, con pochi elementi forniti da Joan Mirò e Max Ernst. Giulietta arrivava in ritardo alle prove e Romeo si presentava vestito da aviatore; seguiva un passo a due d'amore imperniato su riferimenti umoristici alla tragedia di Shakespeare. Durante la successiva prima rappresentazione i due protagonisti si abbandonavano alla passione che già li aveva colti durante le prove e rivivevano in prima persona la storia d’amore dei personaggi da loro interpretati al punto di concludere la prima recita della compagnia con la loro fuga in aereoplano. Un giovane George Balanchine curò l'entr’acte. Dopo l'accoglienza favorevole a Montecarlo, alla prima parigina i leader del movimento surrealista contestarono la partecipazione di Ernst e Mirò all'impresa dipinta come capitalistica. Si rimanda all’articolo Uno scandalo surrealista per alcuni dettagli sulla produzione e sulla protesta sollevata alla ripresa parigina.
Nel 1943 Anthony Tudor, concentrandosi sui sentimenti più intimi che legavano la coppia di amanti, ha creato per il Ballet Theatre alla Metropolitan Opera House di New York più una lirica riflessione sul dramma dei due giovani infelici che un vero balletto narrativo; il lavoro, in un atto, sui poemi sinfonici di Frederick Delius arrangiati da Antal Dorati, è stato interpretato per la prima volta da Alicia Markova, da Hugh Laing, dallo stesso Tudor nella parte di Tebaldo e da Jerome Robbins in quella di Benvolio. L’approccio essenzialmente romantico, il rilievo dato al mondo interiore di Giulietta e ai sentimenti dei personaggi avrebbero influenzato, almeno nei passaggi essenziali, molte produzioni a venire. Tudor si ispirò ai dipinti di Botticelli, ai quali guardò pure Eugene Berman per il décor. Nel 1971, in una ripresa dello spettacolo, l'American Ballet Theatre affidò il ruolo di Giulietta a Carla Fracci, che ottenne un successo assolutamente trionfale.
VERSIONI SULLA MUSICA DI TCHAIKOVSKY
Nel 1869 Tchaikovsky compose una Ouverture-Fantasia della durata di meno di venti minuti, che illustra non tanto la vicenda in esame, quanto il tema dell'ineluttabilità del fato. La brevità della partitura di Tchaikovsky ha costretto i coreografi che l'hanno scelta per la loro interpretazione della tragedia a condensare la drammaturgia. Tra le creazioni su di essa vanno ricordate la prima versione di Serge Lifar, presentata a Parigi durante l'occupazione da parte dei tedeschi, e quella di Tatjana Gsovsky per Lipsia, entrambe prodotte nel 1942. Nel 1969 Ruth Page ha proposto la sua creazione per il suo International Ballet di Chicago. Nel 1948 ancora la Gsovsky e nel 1955 Lifar daranno del balletto versioni diverse, però sulla musica di Prokofiev, rispettivamente per il Deutsche Staatsoper Ballet di Berlino e per il balletto dell'Opéra di Parigi .
Nel 1869 Tchaikovsky compose una Ouverture-Fantasia della durata di meno di venti minuti, che illustra non tanto la vicenda in esame, quanto il tema dell'ineluttabilità del fato. La brevità della partitura di Tchaikovsky ha costretto i coreografi che l'hanno scelta per la loro interpretazione della tragedia a condensare la drammaturgia. Tra le creazioni su di essa vanno ricordate la prima versione di Serge Lifar, presentata a Parigi durante l'occupazione da parte dei tedeschi, e quella di Tatjana Gsovsky per Lipsia, entrambe prodotte nel 1942. Nel 1969 Ruth Page ha proposto la sua creazione per il suo International Ballet di Chicago. Nel 1948 ancora la Gsovsky e nel 1955 Lifar daranno del balletto versioni diverse, però sulla musica di Prokofiev, rispettivamente per il Deutsche Staatsoper Ballet di Berlino e per il balletto dell'Opéra di Parigi .
VERSIONI SULLA MUSICA DI HECTOR BERLIOZ
Del nutrito gruppo di coreografi che ha trattato il tema sulla Symphonie Dramatique, composta da Berlioz nel 1838 in aderenza alla struttura del testo shakespeariano, si ricordano: George Skibine con la sua Tragédie à Verone creata a Montecarlo nel 1955 per il Grand Ballet du Marquis de Cuevas; Maurice Béjart, con un lavoro per il Ballet du XX siècle dato al Cirque Royal di Bruxelles nel 1966, filmato successivamente dalla RAI. Durante il prologo i danzatori entravano in un ambiente vuoto per le prove e subito dopo scoppiava un litigio tra loro. Il maitre, interpretato al debutto dallo stesso Béjart, li placava raccontando la storia di Giulietta e Romeo. I primi due atti, modellati sul teatro elisabettiano, mostravano interludi dal dramma di Shakespeare al quale si aggiungeva un nuovo personaggio, la Regina Mab, messaggero di bellezza e di morte. Seguiva un epilogo dove i danzatori, moltiplicati in altrettanti Giuliette e Romeo, cadevano sotto i colpi delle mitragliatrici, per rialzarsi, mostrando di aver risolto le loro divergenze, mentre veniva iteratamente ripetuto il motto "Fate l'amore non la guerra". La proposta, un inno ai giovani, ai loro entusiasmi utopistici, alle loro lotte e alle loro passioni, risentiva della spaccatura ideologica creatasi all'epoca, in piena guerra del Vietnam, tra chi apprezzava acriticamente i pur evidenti vantaggi di uno stile di vita americano e chi si limitava a vederne solo le contraddizioni. Tuttavia, un impianto scenico ridotto a una piattaforma circolare e ad alcuni praticabili (piattaforme ndr) e una scelta lineare dei costumi aiutavano a rendere universale il messaggio, collocandolo fuori da un tempo preciso.
Alle citate si aggiungono le versioni di Alberto Alonso per il Ballet Nacional de Cuba del 1970, di Amedeo Amodio per l'Aterballetto di Reggio Emilia nel 1987 e di Marise Delente nel 1995.
Del nutrito gruppo di coreografi che ha trattato il tema sulla Symphonie Dramatique, composta da Berlioz nel 1838 in aderenza alla struttura del testo shakespeariano, si ricordano: George Skibine con la sua Tragédie à Verone creata a Montecarlo nel 1955 per il Grand Ballet du Marquis de Cuevas; Maurice Béjart, con un lavoro per il Ballet du XX siècle dato al Cirque Royal di Bruxelles nel 1966, filmato successivamente dalla RAI. Durante il prologo i danzatori entravano in un ambiente vuoto per le prove e subito dopo scoppiava un litigio tra loro. Il maitre, interpretato al debutto dallo stesso Béjart, li placava raccontando la storia di Giulietta e Romeo. I primi due atti, modellati sul teatro elisabettiano, mostravano interludi dal dramma di Shakespeare al quale si aggiungeva un nuovo personaggio, la Regina Mab, messaggero di bellezza e di morte. Seguiva un epilogo dove i danzatori, moltiplicati in altrettanti Giuliette e Romeo, cadevano sotto i colpi delle mitragliatrici, per rialzarsi, mostrando di aver risolto le loro divergenze, mentre veniva iteratamente ripetuto il motto "Fate l'amore non la guerra". La proposta, un inno ai giovani, ai loro entusiasmi utopistici, alle loro lotte e alle loro passioni, risentiva della spaccatura ideologica creatasi all'epoca, in piena guerra del Vietnam, tra chi apprezzava acriticamente i pur evidenti vantaggi di uno stile di vita americano e chi si limitava a vederne solo le contraddizioni. Tuttavia, un impianto scenico ridotto a una piattaforma circolare e ad alcuni praticabili (piattaforme ndr) e una scelta lineare dei costumi aiutavano a rendere universale il messaggio, collocandolo fuori da un tempo preciso.
Alle citate si aggiungono le versioni di Alberto Alonso per il Ballet Nacional de Cuba del 1970, di Amedeo Amodio per l'Aterballetto di Reggio Emilia nel 1987 e di Marise Delente nel 1995.
VERSIONI RUSSE SULLA MUSICA DI PROKOFIEV
Le versioni citate nel seguito, sostanzialmente aderenti al testo shakespeariano, si rifanno tutte alla partitura di Prokofiev, appositamente commissionata alla fine del 1934 per accompagnare un balletto destinato a commemorare il 200° anniversario della Scuola di Ballo di Leningrado. In quel periodo il Teatro di Leningrado fu intitolato a Kirov e, a causa dei cambiamenti dovuti a una nuova gestione, il progetto non potè prendere corpo. La programmazione del nuovo balletto fu in un primo tempo accettata dal Bolshoi di Mosca, ma il corpo di ballo lo rifiutò giudicando impossibile da ballare la musica di Prokofiev, presentata in una versione pianistica. Gli artisti contestarono anche il lieto fine pensato da Prokofiev perché, questa volta, era stato il compositore a ritenere impossibile una scena coreutica danzata da protagonisti in fin di vita. La prima versione su musica di Prokofiev vide così la luce soltanto nel 1938 nel Teatro dell’Opera di Brno, in Cecoslovacchia, col tragico finale ripristinato: a questa creazione iniziale con coreografia di Vania Psota si sono riferite le successive create da artisti sovietici. Tra queste spicca la versione di Leonid Lavrovsky anche per gli accurati dettagli delle scene di strada, complete di realistici combattimenti con le spade. Debuttò nel 1940 al Teatro del Kirov di Leningrado, che era infine ritornato sulla decisione di rinunciare alla partitura di Prokofiev; con l'interpretazione di Galina Ulanova e di Constantin Sergeyev, la proposta fu un vero trionfo fin dall’inizio, ma dietro al successo si cela una storia travagliata. La musica di Prokofiev, come detto già rifiutata dagli artisti del Bolshoi, era stata giudicata impossibile da danzare anche dai ballerini del Kirov durante le prove con Lavrovsky. La reazione negativa dei danzatori nei riguardi di ritmi non tradizionali venne ampiamente superata da quella dell’orchestra, che, a due settimane dalla prima, rifiutò di suonare quella musica così ostica. Superati dissidi e contrasti, bastò il debutto di Leningrado per avviare la musica sulla strada dei classici intramontabili. La versione Lavrovsky è stata ripresa il 28 dicembre 1946 a Mosca dal Bolshoi, allorché la stessa Ulanova entrò nella compagnia dopo aver lasciato il Kirov, filmata per la televisione, riproposta nel corso degli anni: ha così avuto grande risonanza e popolarità in Unione Sovietica e all’estero anche per la sua ampia diffusione tra le compagnie dell’est, che l’hanno accolta in repertorio e proposta nelle loro tournée. Mentre nella versione Lavrovsky la partitura di Prokofiev subì alcune modifiche minori, sulla musica originale è stata creata un’altra versione russa da Oleg Vinogradov per Novosibirsk nel 1965 e nel 1976 per Leningrado.
Le versioni citate nel seguito, sostanzialmente aderenti al testo shakespeariano, si rifanno tutte alla partitura di Prokofiev, appositamente commissionata alla fine del 1934 per accompagnare un balletto destinato a commemorare il 200° anniversario della Scuola di Ballo di Leningrado. In quel periodo il Teatro di Leningrado fu intitolato a Kirov e, a causa dei cambiamenti dovuti a una nuova gestione, il progetto non potè prendere corpo. La programmazione del nuovo balletto fu in un primo tempo accettata dal Bolshoi di Mosca, ma il corpo di ballo lo rifiutò giudicando impossibile da ballare la musica di Prokofiev, presentata in una versione pianistica. Gli artisti contestarono anche il lieto fine pensato da Prokofiev perché, questa volta, era stato il compositore a ritenere impossibile una scena coreutica danzata da protagonisti in fin di vita. La prima versione su musica di Prokofiev vide così la luce soltanto nel 1938 nel Teatro dell’Opera di Brno, in Cecoslovacchia, col tragico finale ripristinato: a questa creazione iniziale con coreografia di Vania Psota si sono riferite le successive create da artisti sovietici. Tra queste spicca la versione di Leonid Lavrovsky anche per gli accurati dettagli delle scene di strada, complete di realistici combattimenti con le spade. Debuttò nel 1940 al Teatro del Kirov di Leningrado, che era infine ritornato sulla decisione di rinunciare alla partitura di Prokofiev; con l'interpretazione di Galina Ulanova e di Constantin Sergeyev, la proposta fu un vero trionfo fin dall’inizio, ma dietro al successo si cela una storia travagliata. La musica di Prokofiev, come detto già rifiutata dagli artisti del Bolshoi, era stata giudicata impossibile da danzare anche dai ballerini del Kirov durante le prove con Lavrovsky. La reazione negativa dei danzatori nei riguardi di ritmi non tradizionali venne ampiamente superata da quella dell’orchestra, che, a due settimane dalla prima, rifiutò di suonare quella musica così ostica. Superati dissidi e contrasti, bastò il debutto di Leningrado per avviare la musica sulla strada dei classici intramontabili. La versione Lavrovsky è stata ripresa il 28 dicembre 1946 a Mosca dal Bolshoi, allorché la stessa Ulanova entrò nella compagnia dopo aver lasciato il Kirov, filmata per la televisione, riproposta nel corso degli anni: ha così avuto grande risonanza e popolarità in Unione Sovietica e all’estero anche per la sua ampia diffusione tra le compagnie dell’est, che l’hanno accolta in repertorio e proposta nelle loro tournée. Mentre nella versione Lavrovsky la partitura di Prokofiev subì alcune modifiche minori, sulla musica originale è stata creata un’altra versione russa da Oleg Vinogradov per Novosibirsk nel 1965 e nel 1976 per Leningrado.
VERSIONI OCCIDENTALI SULLA MUSICA DI PROKOFIEV
Le prime creazioni occidentali sono dovute a Birgit Cullberg, che nel 1944 ha presentato la sua versione a Stoccolma col Cullberg Ballet, e a Margarita Froman, che nel 1949 ne ha creata una per il Balletto di Zagabria, poi presentata a Londra nel 1955. Tuttavia, quest'ultima è la prima occidentale su musica di Prokofiev ad aderire alla narrazione tradizionale. Nella versione della Cullberg i danzatori indossano soltanto in scena i costumi dei personaggi interpretati e sviluppano la storia condensata in un atto di meno di un'ora con un finale serenizzante di pentimenti e purificazioni. Colma di lirismo e di attenzione più per il dramma privato dei due amanti che per i contrasti delle due fazioni cittadine, è invece l’interpretazione di Frederick Ashton, che ha visto la luce a Copenhagen col Royal Danish Ballet nel 1955, ancor prima che in occidente fosse presentata alcuna versione russa. In seguito è stata ripresa dal London Festival Ballet nel 1985.
Le versioni maggiormente popolari in occidente sono quelle di Cranko e di MacMillan. In seguito al successo del suo Principe delle Pagode, concepito per la Scala, il teatro milanese invitò John Cranko a creare un secondo balletto per la compagnia. Cranko pensò a un Romeo e Giulietta per Carla Fracci e Mario Pistoni, che fu presentato dal balletto della Scala, con décor di Nicola Benois, al Teatro Verde all’isola di San Giorgio a Venezia il 26 luglio 1958 e ripreso la successiva stagione nella storica sede milanese. Il coreografo ne ha fornito una celebre variante, con disegni di Jürgen Rose, portata al successo da Marcia Haydée, da Ray Barra e dal Balletto di Stoccarda il 2 dicembre del 1962. Sfruttando l'innato talento nel rendere i soggetti drammatici, nella sua versione Cranko distilla il tragico racconto in 12 brevi, incisive scene, che si aprono su un affresco rinascimentale animato da concitati duelli all'arma bianca più realistici che danzati. Le parti maggiormente ballate sono riservate ai due amanti e in esse Cranko piega il suo stile lirico alla perfetta resa delle più intense emozioni, ma i rilevanti e corposi interventi del corpo di ballo si rivelano funzionali a far convergere il racconto verso un rapido epilogo. I ritmi incalzanti si giovano dell'omissione di molti interventi di Frate Lorenzo, inclusa la consegna della pozione, e della fuga di Romeo a Padova. Una rivisitazione della versione Cranko è stata proposta nel 1989 da Loris Gai al Teatro Massimo di Palermo.
Nonostante l'enorme successo proprio di una versione dovuta a un coreografo anglosassone, se non di nascita, certamente di formazione, il Royal Ballet affidò a Kenneth MacMillan la creazione di un balletto sul tema, appositamente pensato per la compagnia inglese. Ne venne il noto capolavoro, che ruota attorno a due magnifici passi a due dei protagonisti, di grande equilibrio ed eleganza: quello cosiddetto “del balcone”, dopo la festa di compleanno di Giulietta, e quello “della camera da letto”, dopo il matrimonio segreto dei giovani. MacMillan aveva in mente una creazione, la sua prima a serata intera, per Lynn Seymour e Christopher Gable, coi quali aveva già lavorato per il suo balletto The Invitation e che erano relativamente vicini all'età dei protagonisti, nonché adattissimi per carattere ai personaggi che avrebbe voluto: una Giulietta imprevedibile e impetuosa che avrebbe affascinato un Romeo tenero e riservato. Tuttavia la direzione della Royal Opera House volle altrimenti, MacMillan dovette in parte rinunciare a due personaggi caratterizzati secondo le sue prime intenzioni e il balletto debuttò il 9 febbraio 1965 al Covent Garden di Londra con scene di Georgiadis e l'interpretazione della coppia al momento ai vertici della celebrità: Margot Fonteyn e Rudulf Nureyev, che immortalarono successivamente la versione in un filmato. Come secondo cast rimase la coppia alla quale MacMillan aveva originariamente pensato. L'anno successivo Erik Bruhn ha creato sempre sulla musica di Prokofiev soltanto un passo a due per l'Opera di Roma, ballato con successo assieme a Carla Fracci.
Vanno ricordate le versioni della metà degli anni '60 del '900 di Nicholas Beriozoff, Attilio Labis e Rudi Van Dantzig per il balletto Nazionale Olandese. Particolarmente riuscita è la creazione di John Neumeier che, nata nel 1971 per il Balletto di Francoforte e ripresa dallo Hamburg Ballet nel 1973, dopo alcuni ritocchi è stata ripensata profondamente fino ad assumere nel 1981 l'aspetto attuale. La prima versione parve quasi una reazione di Neumeier a quella di Cranko, da lui più volte interpretata nel ruolo di Mercuzio: essa ruotava attorno al personaggio di Romeo discostandosi dai balletti di Cranko e di Lavrovsky, sostanzialmente incentrati sulla figura della giovane. Nell'ultima versione Neumeier riequilibra i due ruoli e sceglie la coppia come inscindibile protagonista del dramma: egli indaga tutte le possibili sfumature psicologiche della vicenda partendo da un Romeo già esperto dell'amore e della vita a fronte di una Giulietta ingenua e virginale e mostrandoci come la loro passione riesca a rovesciare i loro caratteri e il ruolo di ciascuno nell'ambito della coppia. Per quanto riguarda questa versione si rimanda all’articolo Romeo und Julia di John Neumeier: la rappresentazione della verità. Alla versione di Michael Smuin del 1976 per il San Francisco Ballet si aggiunge quella di Rudolf Nureyev per il London Festival Ballet del 1977, che, con tutte le sue revisioni successive, quella per la Scala di Milano del 1980 e quella per il Balletto dell'Opéra di Parigi del 1984, attraverso l'enfasi posta sul litigioso popolo veronese, il corpo dato ai ruoli di Mercuzio e Tebaldo, l'impiego di procedimenti cinematografici, dal flashback al fermo-immagine, dipinse un Quattrocento raffinatissimo e superbo, ma, al tempo stesso, dominato da sesso, crudeltà e violenza, nonché caratterizzato da repentini rovesci della sorte, che accostano buie superstizioni agli aneliti per un mondo nuovo.
VERSIONI CONTEMPORANEE SULLA MUSICA DI PROKOFIEV
Più recenti versioni propongono riletture in chiave moderna del balletto: tra queste, la proposta di Fabrizio Monteverde, presentata a Prato dal balletto di Toscana nel 1989, il passo a due studiato nel 1990 da James Kudelka per Rhombus Video, la versione di Robert North del 1990 per il Balletto di Ginevra e quella di Jean-Christophe Maillot per Les Ballets de Monte Carlo del 1996. Maillot presenta il dramma, in una serie di flash-back, attraverso il ricordo di Frate Lorenzo, assecondato da un ingegnoso set astratto di praticabili, sipari, pareti bianche e luminose e pannelli mobili, che aiutano a prosciugare la vicenda in una drammaturgia essenziale. Angelin Preljocaj, influenzato dal 1984 di George Orwell, ha reinterpretato il dramma nel 1990 per l’Opéra di Lione sostituendo alle due famiglie nemiche due ben diverse classi sociali e facendolo rivivere in una società oppressa da una dittatura, dove gli amanti sono separati, più che da conflitti familiari, da differenze di classe. L’ambientazione in uno stato di polizia è efficacemente assecondata dal décor di Enki Bilal, che ha concepito i costumi in modo da render ben chiara la divisione della classe dominata, in pantaloni neri e camicia bianca, da quella dominante in divise militari. Il vasto palcoscenico diventa uno spazio sovrastato da torrette e da una passerella dalla quale i maggiorenti possono controllare i reietti.
Altre riletture in chiave contemporanea sono dovute a Massimo Moricone nel 1991, a Nacho Duato nel 1998 per la Compañía Nacional de Danza spagnola, a Mauro Bigonzetti e Fabrizio Plessi per l' Aterballetto; in essa i Romeo e Giulietta si decuplicano per rappresentare i sentimenti che legano uomini e donne e la consapevolezza che “l’urto dell’amore” può lasciare completamente disarmati. Del 2003 è la nuova versione per il Bolshoi, di ambientazione contemporanea, firmata da Radu Poklitaru.
Infine, si cita l’interpretazione del dramma fornita da Jerome Robbins su musica di Leonard Bernstein: il suo West Side Story trasferisce l’azione tra le strade di New York sostituendo alla rivalità di due nobili famiglie veronesi quella di due bande rispettivamente di Latini e di Gringos.
Più recenti versioni propongono riletture in chiave moderna del balletto: tra queste, la proposta di Fabrizio Monteverde, presentata a Prato dal balletto di Toscana nel 1989, il passo a due studiato nel 1990 da James Kudelka per Rhombus Video, la versione di Robert North del 1990 per il Balletto di Ginevra e quella di Jean-Christophe Maillot per Les Ballets de Monte Carlo del 1996. Maillot presenta il dramma, in una serie di flash-back, attraverso il ricordo di Frate Lorenzo, assecondato da un ingegnoso set astratto di praticabili, sipari, pareti bianche e luminose e pannelli mobili, che aiutano a prosciugare la vicenda in una drammaturgia essenziale. Angelin Preljocaj, influenzato dal 1984 di George Orwell, ha reinterpretato il dramma nel 1990 per l’Opéra di Lione sostituendo alle due famiglie nemiche due ben diverse classi sociali e facendolo rivivere in una società oppressa da una dittatura, dove gli amanti sono separati, più che da conflitti familiari, da differenze di classe. L’ambientazione in uno stato di polizia è efficacemente assecondata dal décor di Enki Bilal, che ha concepito i costumi in modo da render ben chiara la divisione della classe dominata, in pantaloni neri e camicia bianca, da quella dominante in divise militari. Il vasto palcoscenico diventa uno spazio sovrastato da torrette e da una passerella dalla quale i maggiorenti possono controllare i reietti.
Altre riletture in chiave contemporanea sono dovute a Massimo Moricone nel 1991, a Nacho Duato nel 1998 per la Compañía Nacional de Danza spagnola, a Mauro Bigonzetti e Fabrizio Plessi per l' Aterballetto; in essa i Romeo e Giulietta si decuplicano per rappresentare i sentimenti che legano uomini e donne e la consapevolezza che “l’urto dell’amore” può lasciare completamente disarmati. Del 2003 è la nuova versione per il Bolshoi, di ambientazione contemporanea, firmata da Radu Poklitaru.
Infine, si cita l’interpretazione del dramma fornita da Jerome Robbins su musica di Leonard Bernstein: il suo West Side Story trasferisce l’azione tra le strade di New York sostituendo alla rivalità di due nobili famiglie veronesi quella di due bande rispettivamente di Latini e di Gringos.