Mario Pistoni
La Strada
02-09-1966 - Milano, Teatro alla Scala
Balletto in un atto e 12 quadri, dall'omonimo film di Federico Fellini su soggetto di Federico Fellini e Tullio Pinelli
Coreografia: Mario Pistoni
Musica: Nino Rota
Direttore d'Orchestra: Armando Gatto
Cantante: Edith Martelli
Libretto:
Scene e costumi: Luciano Damiani
Luci:
CAST
Gelsomina: Carla Fracci
Zampanò: Aldo Santambrogio
il Matto: Mario Pistoni
Gli sposi: Elettra Morini e Tiziano Mietto
La Madre: Dora Ricci
Alfredo Caporilli, Dario Brigo, Gildo Cassani, Angelo Moretto, Antonio Greco, Rosalia Kovacs, Luciana Savignano, Amedeo Fusco, Luigi Sironi, Giancarlo Morganti, Gabriele Tenneriello, Antonietta Cozzi, Barbara Geroldi, Gianna Ricci, Luciana Pastore, Romolo Gallignani.
Balletto del Teatro alla Scala
Coreografia: Mario Pistoni
Musica: Nino Rota
Direttore d'Orchestra: Armando Gatto
Cantante: Edith Martelli
Libretto:
Scene e costumi: Luciano Damiani
Luci:
CAST
Gelsomina: Carla Fracci
Zampanò: Aldo Santambrogio
il Matto: Mario Pistoni
Gli sposi: Elettra Morini e Tiziano Mietto
La Madre: Dora Ricci
Alfredo Caporilli, Dario Brigo, Gildo Cassani, Angelo Moretto, Antonio Greco, Rosalia Kovacs, Luciana Savignano, Amedeo Fusco, Luigi Sironi, Giancarlo Morganti, Gabriele Tenneriello, Antonietta Cozzi, Barbara Geroldi, Gianna Ricci, Luciana Pastore, Romolo Gallignani.
Balletto del Teatro alla Scala
TRAMA
Tratto dall'omonimo film di F. Fellini, "La Strada" racconta la storia di Gelsomina, una giovane ragazza venduta dalla madre ad un artista di strada che, per guadagnarsi da vivere, gira le piazze dei piccoli paesi italiani, dando spettacolo con impressionanti dimostrazioni di forza. Da quel momento lei lo affianca ballando al suono della sua piccola tromba.
E' una vita durissima, specialmente per lei, costretta coi modi sempre rozzi di Zampanò a viaggiare in continuazione a bordo di una motocarrozzetta, la sua nuova casa. Le scene che si susseguono mostrano l'Italia delle persone meno abbienti, dei tanghi ballati in piazza dagli adulti e delle danze moderne con cui si intrattengono i più giovani durante i festeggiamenti di un matrimonio. L'Italia delle processioni religiose, delle tavolate in strada, e quella delle lavandaie che stendono i panni all'aperto. Di luogo in luogo Gelsomina è sempre più depressa e stanca delle violente attenzioni che Zampanò le riserva. Alla prima occasione che le si presenta decide di fuggire: al seguito di tre suonatori ambulanti che l'accompagnano nella sua danza, si ritrova in un paese in festa. E' qui che viene avvicinata dal "Matto", un personaggio che l'affascina con la sua simpatia.
Gelsomina è giovane, timida, una ragazza che della vita ancora non ha scoperto molto. Una volta sola, diventa "preda" di un gruppo di militari che la insidiano e provocano con insistenza: ma viene soccorsa da Zampanò che, salvandola dai militari, la rinchiude di nuovo in quella che per lei è una prigione, la vita da girovaga al suo fianco. Zampanò e il Matto si incontrano in un circo, dove tutti e due vengono ingaggiati: uno per esibirsi con le proprie catene da spezzare, l'altro per incantare il pubblico al suono del suo malinconico violino. Gelsomina è molto attratta dal Matto, e fra i due uomini scoppia la rivalità. In un'occasione arrivano alle mani e, vista la forza di Zampanò, il Matto rischia la vita. A salvare il violinista sono le guardie, che arrestano Zampanò e lo conducono in prigione.
Gelsomina e il Matto hanno così la propria occasione per conoscersi meglio. Ma Zampanò ben presto esce di prigione e, ritrovata Gelsomina, per l'ennesima volta la riporta a sé e alla sua dura vita. Il lavoro comincia a non bastare più, e l'uomo-padrone la coinvolge in un furto in un convento di suore. Mentre i due fuggono incontrano sulla loro strada il Matto: Zampanò decide di terminare ciò che era stato costretto ad interrompere e, in un impeto di ira, lo uccide con le proprie mani. Gelsomina cade definitivamente in depressione. Al sopraggiungere di un rigidissimo inverno, si ammala e viene solo allora "liberata" da Zampanò, che l'abbandona al proprio destino, svenuta in strada, sotto un'incalzante nevicata. Tuttavia Zampanò non riesce a dimenticarla, e per la prima volta nella sua vita di uomo di pochi scrupoli, si rimette a cercarla. Ma quando la ritrova, scopre che è morta. Si rende conto della sua sconfitta, delle proprie colpe, della sua vita di stenti e di fallimenti. La scena finale lo mostra solo, in preda ai fumi dell'alcool, sconfitto da una drammatica disperazione.
Balletto.net
E' una vita durissima, specialmente per lei, costretta coi modi sempre rozzi di Zampanò a viaggiare in continuazione a bordo di una motocarrozzetta, la sua nuova casa. Le scene che si susseguono mostrano l'Italia delle persone meno abbienti, dei tanghi ballati in piazza dagli adulti e delle danze moderne con cui si intrattengono i più giovani durante i festeggiamenti di un matrimonio. L'Italia delle processioni religiose, delle tavolate in strada, e quella delle lavandaie che stendono i panni all'aperto. Di luogo in luogo Gelsomina è sempre più depressa e stanca delle violente attenzioni che Zampanò le riserva. Alla prima occasione che le si presenta decide di fuggire: al seguito di tre suonatori ambulanti che l'accompagnano nella sua danza, si ritrova in un paese in festa. E' qui che viene avvicinata dal "Matto", un personaggio che l'affascina con la sua simpatia.
Gelsomina è giovane, timida, una ragazza che della vita ancora non ha scoperto molto. Una volta sola, diventa "preda" di un gruppo di militari che la insidiano e provocano con insistenza: ma viene soccorsa da Zampanò che, salvandola dai militari, la rinchiude di nuovo in quella che per lei è una prigione, la vita da girovaga al suo fianco. Zampanò e il Matto si incontrano in un circo, dove tutti e due vengono ingaggiati: uno per esibirsi con le proprie catene da spezzare, l'altro per incantare il pubblico al suono del suo malinconico violino. Gelsomina è molto attratta dal Matto, e fra i due uomini scoppia la rivalità. In un'occasione arrivano alle mani e, vista la forza di Zampanò, il Matto rischia la vita. A salvare il violinista sono le guardie, che arrestano Zampanò e lo conducono in prigione.
Gelsomina e il Matto hanno così la propria occasione per conoscersi meglio. Ma Zampanò ben presto esce di prigione e, ritrovata Gelsomina, per l'ennesima volta la riporta a sé e alla sua dura vita. Il lavoro comincia a non bastare più, e l'uomo-padrone la coinvolge in un furto in un convento di suore. Mentre i due fuggono incontrano sulla loro strada il Matto: Zampanò decide di terminare ciò che era stato costretto ad interrompere e, in un impeto di ira, lo uccide con le proprie mani. Gelsomina cade definitivamente in depressione. Al sopraggiungere di un rigidissimo inverno, si ammala e viene solo allora "liberata" da Zampanò, che l'abbandona al proprio destino, svenuta in strada, sotto un'incalzante nevicata. Tuttavia Zampanò non riesce a dimenticarla, e per la prima volta nella sua vita di uomo di pochi scrupoli, si rimette a cercarla. Ma quando la ritrova, scopre che è morta. Si rende conto della sua sconfitta, delle proprie colpe, della sua vita di stenti e di fallimenti. La scena finale lo mostra solo, in preda ai fumi dell'alcool, sconfitto da una drammatica disperazione.
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GALLERY
APPROFONDIMENTO
"Una storia di personaggi randagi, per strade polverose e borghi antichi, un racconto picaresco di zingari e saltimbanchi. Così dunque mi apparve Gelsomina, nelle vesti di un clown, e subito, accanto a lei, per contrasto, un'ombra buia e massiccia, Zampanò."
Questa è La strada per Federico Fellini: non solo un celebre film del 1954 ma anche un balletto degli anni sessanta diventato famoso nel mondo per aver recuperato la cultura del nostro Neorealismo. Mescolando l'antica predilezione della danza per il circo e i suoi clown a una più originale esplorazione delle nostre feste paesane di matrimonio e processioni religiose, il coreografo Mario Pistoni, prematuramente scomparso nel 1992, ha creato nel 1966 il balletto più italiano che si possa immaginare e un cammeo per Gelsomina. Protagonista-sognatrice, di rado sulle punte, è lei a imbastire una fiaba strappalacrime dalle tonalità meno ruvide di quelle del film. D'altra parte, il balletto La strada inaugurò il rapporto italiano tra danza e cinema, coltivato in precedenza soprattutto dall'America dei musical, in forme autonome. Ovvero, un linguaggio ballettistico ibrido, di tradizione teatrale, in cui però, in sintonia con Fellini, una melanconica poesia sottolinea gli scoramenti chapliniani e la solitudine dell'uomo moderno. LA STORIA Al posto della trepida, emotiva Giulietta Masina (Gelsomina), l'evanescente Carla Fracci. Invece del massiccio Anthony Queen (Zampanò), il rude ma stilizzato Aldo Santambrogio e nei panni del funambolico Matto non l'attore Richard Basehart, ma il danzatore Mario Pistoni. Così trasformata, La strada di Federico Fellini faceva il suo ingresso al Teatro alla Scala il 2 settembre 1966 sotto forma di balletto. All'epoca trasformare un film in coreografia era un esperimento ancora inedito, che forse non sarebbe stato tentato se la Scala, non avesse invitato Nino Rota, il compositore del Cappello di paglia di Firenze ma anche l'autore delle musiche di molti film di Fellini, a comporre un balletto. E questi, assieme a Mario Pistoni che come coreografo aveva già affermato il suo talento nella Francesca da Rimini (1965), pensò alla "favola realistica" primo capolavoro di Fellini, ovvero La strada. Attorno al nucleo portante dei suoi temi sonori (come il violino del Matto, la tromba di Gelsomina, il viaggio sulla motocarrozzetta, le bande, il circo), Rota sviluppò nuove idee musicali suggeritegli dal soggetto che lo stesso Pistoni aveva ricavato dalla sceneggiatura originale stessa, oltre che dal regista riminese, da Tullio Pinelli e Ennio Flaiano. Così il balletto in un atto, con il nitido ed elegante impianto scenico e i costumi di Luciano Damiani, ebbe subito successo (e piacque allo stesso Fellini). Replicato anche all'estero, La strada è diventato cavallo di battaglia di toccanti interpreti italiane (oltre a Oriella Dorella, Alessaddra Ferri) e viene oggi riconosciuto come uno dei nostri migliori esempi di coreografia neorealista. LA DANZA L'obiettivo della coreografia è mettere in luce la psicologia dei personaggi all'interno di quadri realistici sempre cangianti (la strada, il matrimonio, la festa con la processione, il circo, il monastero, ancora la strada). Ecco perché il linguaggio puro del balletto non è il solo presente e quando lo è, come nel ruolo di Gelsomina, si accorda con le tonalità espressive conferite dall'interprete. Come nell'iniziale incontro con Zampanò, quando Gelsomina saltella fanciullescamente (jetés e assemblés) mentre l'uomo le fa indossare la mantella (temps levés con gamba in avantiti parallela e piede flex). O quando nel suo primo, melanconico, assolo si sposta nello spazio (pas de bourrée en arrière) con le braccia che si aprono in modo espressivo; esegue dei tours arabesques subito sospesi per dare il via a un'esplosione di coupés-jetés e sissonnes (finito con sviluppo della gamba in IV posizione en l'air effacé e con la curva del busto) prima di tornare a prendere la sua mantella, tirare sassi e mettersi a saltellare lungo un percorso immaginario. Creatura abbandonata a un destino sfortunato, Gelsomina è anche qui una "bambina-vecchina", come la descrive Fellini, che diventa clown: tipica la sua posizione in attitude derrière plié con il tamburo che porta al collo mentre si esibisce con Zampanò. Rimasta sola con il Matto che suona la tromba per lei, entra però facilmente nel mondo dei sogni e sembra compiere un viaggio fantastico nello spazio, girando su se stessa (renversé, fouettés all'italiana, chainés). Nelle dolcezze del pas de deux successivo Gelsomina e il Matto si corteggiano ruotando l'uno intorno all'altra e il danzatore regge il busto della protagonista che, inclinata, esegue un'attitude derrière, con abbandono della schiena in cambré. E Zampanò? Da rude saltimbanco gli sono riservati ben pochi passi di vera danza ma molte azioni da interpretare sulla musica struggente di Rota. D'altra parte il personaggio maschile che più si eleva verso il cielo-simbolo della libertà della fantasia e anche della follia, è davvero, come preannuncia il suo nome, il Matto. Danzatore nervoso ed esagitato, impariamo a cono-scerlo mentre si apre un varco tra la folla (manège di coupé, jeté e saut de basque) e Gelsomina guarda affascinata i suoi virtuosismi prima di ricevere da lui, In segno di amicizia, un palloncino colorato. Marinella Guatterini L'ABC del balletto Mondadori Electa (2011) LO SPETTACOLO de «La strada» alla Scala, balletto con musica di Nino Rota sullo stesso soggetto del famoso film omonimo di Fel-lini, è stato per me un'esperienza sconvolgente.
Ho capito: 1) che non esiste la cosiddetta «decima Musa»: Tersicore (danza) ed Erato (mimica) sono più che sufficienti al Cinema: e se non sono sufficienti, c'e Talia, e Melpomene, e Clio, e tutte le altre; 2) che se la danza serve al Cinema, ebbene, anche il Cinema può servire alla danza; 3) che il Cinema è il più rozzo, il più duro, il più impuro mezzo di espressione che si offra ad un artista: fra tutte le materie, la più pesante a sollevare. Alla fine del film di Fellini, Zampanò dimostra al pubblico la propria acquistata umanità nel più ovvio, nel più goffo dei modi: piangendo. Qui, con una trovata stupenda, Zampanò, che fino a quel momento non era mai stato in grado di ballare, balla stupendamente, agilissimo. Devo dire che considero «di bassa lega» la commozione di cui, quando vidi la Strada al cinema, mi aveva contagiato il pianto di Anthony Quinn, e che considero invece «di oro fino» una commozione tutta estetica, quella che ho provato vedendo finalmente piroettare il fino allora lento e torpido Aldo Santambrogio? Devo dirlo? Sfidando le ire, di Aristarco e degli aristarchi, lo dirò. Ammettendo, però, che da un solo caso, non si può ricavare una legge. Non si tratta, infatti. di un semplice meccanismo, Nino Rota ci offre anche un esempio contrario: se al pianto di Zampanò nel film sostituisce le piroette di Zampanò nel balletto, ecco che alla «tromba» del film sostituisce, nel balletto, «il canto di una donna». Questo canto, accompagnato dalla claquette di un ragazzino, mentre l'orchestra tace, è un altro punto sublime del balletto. Concludendo, «La strada» di Nino Rota è un capolavoro. Il film di Fellini è, forse soltanto il libretto di quel capolavoro. E il libretto, come è naturale e come accade normalmente, è stato composto prima della musica. Mario Soldati Taccuino di Mario Soldati (1966) CURIOSITA'
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