Serge Lifar
Les Mirages
15-12-1947 - Parigi, Théâtre National de l’Opéra de Paris
Féerie chorégraphique in un atto e due scene
Coreografia: Serge Lifar
Musica: Henri Sauguet
Direttore d’orchestra: Robert Blot
Libretto: Cassandre (Adolphe Mouron) e Serge Lifar
Scene e costumi: Cassandre (Adolphe Mourron)
Luci: Claude Tissier
CAST
L’Ombra: Yvette Chauviré
Il Giovane uomo: Michel Renault
La Donna: Micheline Bardin
La Luna: Paulette Dynalix
La Chimera: Madeleine Lafon
il Mercante: Max Bozzoni
Le Cortigiane: Jacqueline Moreau, Denise Bourgeois
I Mercanti: Pierre Duprez, Nicolas Efimov
I Pastori: Lucien Legrand, Xavier Andreani
Ballet de l'Opéra de Paris
Coreografia: Serge Lifar
Musica: Henri Sauguet
Direttore d’orchestra: Robert Blot
Libretto: Cassandre (Adolphe Mouron) e Serge Lifar
Scene e costumi: Cassandre (Adolphe Mourron)
Luci: Claude Tissier
CAST
L’Ombra: Yvette Chauviré
Il Giovane uomo: Michel Renault
La Donna: Micheline Bardin
La Luna: Paulette Dynalix
La Chimera: Madeleine Lafon
il Mercante: Max Bozzoni
Le Cortigiane: Jacqueline Moreau, Denise Bourgeois
I Mercanti: Pierre Duprez, Nicolas Efimov
I Pastori: Lucien Legrand, Xavier Andreani
Ballet de l'Opéra de Paris
TRAMA
Nel Palazzo della Luna, la regina della notte, ancora assopita, lascia il suo letto di nubi, portata dai Dioscuri. Un Giovane entra furtivamente nel luogo lasciato libero, seguito dalla sua Ombra, che gli consiglia di fuggire da questi luoghi ingannevoli. Ma scopre la chiave dei sogni e con ebbrezza apre tutte le porte, liberando Figlie della Notte, Sogni, Miraggi e Chimere che subito evaporano. Un mercante orientale gli vende uno scrigno misterioso. Il Giovane lo apre e ne emerge la sua Ombra implacabile, il dito puntato verso il cielo. La respinge nuovamente, affascinato dalla Donna, creatura meravigliosa che si fa avanti e che si abbandona a lui prima di essere strappata dalle sue braccia dagli Angeli della Morte. Arriva il giorno, il palazzo scompare e il Giovane si ritrova in un paesaggio desertico, solo con la sua Ombra.
GALLERY
APPROFONDIMENTO
Capolavoro poeticissimo del filone narrativo presente nel neoclassicismo di Lifar, il balletto simbolista è metafora del viaggio dell’uomo verso la lucida consapevolezza che la solitudine è la sua condizione di vita. La creazione allude agli sforzi dell’uomo per inseguire le proprie illusioni, ai loro inevitabili fallimenti e alla conseguente presa di coscienza che la sola vera compagna dell’uomo è la sua ombra, la sua solitudine. Scrive Lifar a proposito del suo balletto:
“Il tema della solitudine domina il mio balletto, che ho voluto ricco di sostanza coreografica e plastica: la vita non è che una successione di miraggi che svaniscono per lasciare l’Uomo solo davanti alla natura indifferente (1)”. Il balletto crea un'atmosfera attraverso la narrazione delle peripezie di un Giovane, che, per similitudine, trattano l'argomento sopra accennato. Gli stessi Lifar e Cassandre hanno illustrato in dettaglio tali metafore, sviluppate dal loro balletto. Qui sotto riportiamo le loro parole (2), integrate da qualche dettaglio di chi scrive, segnalato entro parentesi. “La Luna si sveglia nel suo palazzo, [mirabile esempio del Rinascimento italiano]: ancora assonnata si alza dal suo letto di nubi e si accinge a compiere il suo vagabondaggio notturno, guidata dalla costellazione del Pastore. Non appena l’astro ha lasciato dietro di sé la dimora deserta, si introduce furtivamente un Giovane. E’ accompagnato dalla sua Ombra, che lo segue passo passo e l’invita a proseguire il cammino. Il Giovane, infastidito, l’allontana: sul giaciglio abbandonato dalla Luna ha appena trovato la chiave per realizzare i propri sogni ed anela ad usarla. Si inoltra nel palazzo e libera le Figlie della Notte, compagne della Luna. Costoro lo invitano ad aprire le porte dei miraggi e delle illusioni: il sogno, le ricchezze e l’amore. [Il sogno non è altro che una Chimera, mostro fantastico che, dopo aver attratto il Giovane, scompare per lasciar posto al ritorno inesorabile dell’Ombra. Quando questa svanisce nuovamente, il Mercante offre al Giovane della paccottiglia, presentandola come cosa di gran valore. Il Giovane acquista una scatola, dalla quale spunta nuovamente l’Ombra per danzare la celebre variazione. Segue una lotta tra luci e ombre. Il Giovane rimane nuovamente solo e, circondata dalle Figlie della Notte, appare una donna. Il Giovane se ne innamora perdutamente, ma ella muore. In tutti i casi] proprio quando il Giovane sta per possedere gli oggetti del suo desiderio, essi gli sfuggono: la Chimera vola via, i mercanti lo ingannano e l’amore si rivela l’immagine della morte. Sta per sorgere il giorno e, quando i miraggi sono svaniti, come lo stesso palazzo della Luna, al Giovane non resta che andarsene ricongiungendosi alla sua Ombra, sua unica compagna e nella quale, alla luce abbagliante del giorno, alla fine riconosce la sua solitudine [impegnandosi, non appena è svanito il palazzo rinascimentale della Luna, in un intenso passo a due finale di impianto squisitamente neoclassico]”. NOTA STORICA (3). Dopo la morte di Diaghilev, per una serie di circostanze nel 1929 Lifar aveva avuto l’occasione di completare per l’Opéra di Parigi la coreografia de Les Créatures de Prométhée, che avrebbe anche interpretato. A seguito dell’enorme successo, Jacques Rouché, direttore dell’Opéra di Parigi, lo aveva ingaggiato al Palais Garnier come premier danseur, maître de ballet e coreografo. Da quel momento Lifar iniziò ad infondere nuova linfa vitale al Balletto dell’Opéra, che versava in condizioni non ottimali. Inizialmente era intervenuto con cautela, per poi imporre regole sempre più stringenti ai danzatori: si era occupato della formazione delle più giovani promesse, aveva istituito nuove sessioni di prova, aumentato le rappresentazioni e, senza trascurare la ripresa dei classici, aveva cominciato a creare nuove coreografie per l’Opéra. Attraverso le sue proposte coreografiche aveva rimodellato il corpo di ballo dell’Opéra allineandolo all’estetica neoclassica, che stava sviluppando col suo linguaggio coreutico, combinando la sua concezione del movimento con quella della danza accademica. Dopo decine di creazioni di successo, allo scoppio della seconda Guerra Mondiale nel 1939 Lifar cercò di evitare che si arrestasse la fioritura del Balletto dell’Opéra a causa della chiusura della Maison: organizzò un tour in Australia, seguito da uno in Spagna, anche per mostrare la vitalità dello spirito francese. Al ritorno trovò che l’intero staff amministrativo aveva abbandonato Parigi per Cahors. Fu convocato da un comitato segreto che gli chiese di riaprire il Palas Garnier nel giugno del 1940, nominandolo, sebbene non ufficialmente, direttore pro tempore in attesa del ritorno da Cahors di Rouché. Lifar rimise assieme un corpo di ballo eccellente e riprese le attività; a fine giugno Rouché tornò al suo posto e non passò un mese che si inaugurò una nuova stagione di spettacoli. La vena creativa di Lifar continuò ad essere feconda anche nel periodo dell’Occupazione tedesca, quando, tra il ’40 e il ’44, all’Opéra videro la luce 25 nuovi balletti, dei quali ben 16 coreografati dal Nostro. Tra essi: Le Chevalier et la Demoiselle e la nuova versione di Istar nel 1941, L’Amour Sorcier e Suite en Blanc del 1943 e Guignol et Pandore del 1944, l’ultima creazione per l’Opéra messa in scena durante l’Occupazione tedesca. Al momento dello sbarco in Normandia degli Alleati, Lifar aveva terminato un nuovo balletto, Les Mirages, sul quale lavorava già dal 1942 e col quale prevedeva di andare in scena a fine luglio del 1944. Nel periodo della creazione, dal ’42 al ’44, aveva ricoperto il ruolo del Giovane e lo interpretò anche nella prova generale, tenutasi a fine luglio del 1944 con la direzione di Louis Fourestier. La prima, prevista per il 26 luglio, fu però annullata e il balletto momentaneamente abbandonato a causa dei tagli di corrente elettrica e della successiva chiusura dei teatri parigini dovuta agli eventi militari seguiti alla Liberazione. Subito dopo un comitato d’epurazione decretò l’espulsione dall’Opéra di un certo numero di artisti accusati di indebiti legami coi tedeschi. Anche Lifar fu sospettato di collaborazionismo per un insieme di ragioni: l’intensa opera creativa durante l’Occupazione, i suoi articoli su Comoedia, un giornale considerato allineato con l’esercito d’Occupazione, l’amicizia col musicista tedesco Werner Egk, le coreografie del 1942 per Joan et Zarissa su musica di Egk, balletto creato dietro richiesta dei Nazisti, quelle per il Peer Gynt, opera dello stesso Egk. Il balletto Joan et Zarissa era stato la sola creazione di Lifar di spirito tedesco, riequilibrata da una creazione tutta francese su musica di Francis Poulenc, che cita la Marsigliese, ispirata alle favole di Jean de La Fontaine: Animaux Modéles. Tuttavia, accusato dal Comitato d’Epurazione, Lifar dovette rispondere davanti a un tribunale e fu interdetto a vita da ogni teatro della nazione, nonostante il calorosissimo sostegno della troupe. Qualche mese più tardi la sentenza fu ridotta a un anno da un altro comitato. Mentre Lifar fondava il Nouveau Ballet de Monte Carlo, per il quale metteva in scena nuove creazioni tra il ’46 e il ’47, senza di lui le fortune dell'Opéra declinavano. Nel 1946 fu finalmente prosciolto da ogni accusa di collaborazionismo. Dopo un vigoroso, ma breve intervento di Balanchine, nel settembre del 1947 Lifar fu reintegrato all’Opéra come coreografo e maïtre de ballet. La sua prima preoccupazione fu di mettere in scena il vecchio balletto Les Mirages, già pronto nel 1944. Il debutto del balletto nel dicembre del 1947 segnò il suo ritorno ufficiale all’Opérà, ma Lifar non potè danzarlo in pubblico essendogli ancora interdetto il ritorno in scena dietro pressione dei sindacati. Sarebbe stato autorizzato a calcare nuovamente il palcoscenico nel 1949, ma non sarebbe mai apparso in pubblico ne Les Mirages. Il balletto è stato ripreso parecchie volte all’Opérà di Parigi raggiungendo la 100° rappresentazione nel 1954 e la 200° nel 1990 (4). E’ approdato alla Scala di Milano nel 1951 durante una tournée della compagnia parigina. Riprodotto da Jean Sarelli e con l'intervento dello stesso Lifar, l’opera ha fatto parte dello Homage à Serge Lifar tributato al grande coreografo dall’Opéra di Parigi nel 1977. Il ruolo dell’Ombra è passato da Yvette Chauviré a Nina Viroubova nel 1949 e a Josette Amiel (5). LA CREAZIONE E LO STILE. Con l’eccezione di Icare, capolavoro coreografato sul silenzio, Lifar ha svolto il suo lavoro creativo nella più pura tradizione ereditata dai Ballets Russes, concependo il balletto come una forma d’arte totale. Anche la creazione di Les Mirages aveva seguito questo principio: Lifar si era circondato di celebri artisti, il designer Adolphe Murron, detto Cassandre, che negli anni ’20 si era distinto per i suoi manifesti pubblicitari art nouveau, e il compositore Henri Sauguet, che in passato aveva collaborato con Sergei Diaghilev e Boris Kochno fornendo la musica di La Chatte. Lo stesso coreografo ritenne che il balletto fosse frutto di una stretta collaborazione: “Abbiamo lavorato tutti e tre (il compositore Saguet, l’autore di scene e costumi Cassandre, ed io) con una tale unità d’intenti che è difficile decidere quale sia il vero autore di questo balletto, salvo considerare come tale il nostro terzetto nel suo insieme (6)". Per Les Mirages, come per tutti i suoi lavori, décor, musica, coreografia, costumi ed illuminazione concorsero a creare un preciso clima emozionale del dramma, un “ambiente di sogno romantico, dove tutto è possibile, dove le nubi possono restare aggrappate ai capitelli delle colonne, nel palazzo della Luna" (Lifar, Le Spectateur 9 dicembre 1947). L’idea di base era stata costruire un’atmosfera in bilico tra classicismo e surrealismo da un lato e romanticismo dall’altro, che suggerisse la costante presenza della solitudine. Il clima voluto è descritto dallo stesso Lifar nel seguente passaggio ove, al termine, il coreografo sottolinea come musica, décor e coreografia abbiano funzionato in modo sinergico: “Il balletto è spesso in bilico tra due poli: l’eroismo che ci ispira visioni grandiose, di classico vigore … e la ricerca del sogno, che ci spinge a intraprendere la via … di un rinnovato romanticismo. … nel balletto Les Mirages da una parte si nota la netteza delle forme ereditate dal surrealismo e dall’altra il chiaroscuro della tradizione romantica. … Il crescendo finale della musica, che s’innalza al cielo come il sole, mentre il palazzo della Luna svanisce nell’aria, accentua la solitudine dell’Uomo, perduto assieme alla sua ombra nell’immensità (7)”. La classica struttura rinascimentale del décor, se confrontata coi costumi, stabiliva questa dicotomia, funzionando da elemento statico del dramma e focalizzando l’attenzione sui danzatori, la parte dinamica dello stesso, vestiti con costumi, che, salvo quelli dei protagonisti, oggi appaiono assai datati, ma che suggeriscono un’atmosfera inquietante e fantastica con le calzamaglie dai colori più teneri, le piume nelle acconciature, i rosa pallidi, i verdini, i tutu neri e i corpetti multicolori. Incorniciate dai marmi delle rigide strutture architettoniche si giustappongono immagini inaspettate ed improbabili: uomini neri coperti di piume, una principessa rosa perla, una fata in piume e paillettes blu. E' evidente una seconda dicotomia tra la sfrenata fantasia di questi ricchi costumi e la rigorosa austerità di quelli dell’Ombra e del Giovane. Gli stessi personaggi principali, il Giovane e l'Ombra, ancora suggeriscono una dicotomia. Si prepara, così, la conclusione filosofica finale: ogni dicotomia è solo apparente. Non può esistere un aspetto se non esiste anche l'altro e l'Ombra, la solitudine, altro non è che l'alter ego del Poeta. A proposito della musica, su Le Spectateur del 9 dicembre 1947 Lifar scrisse: “Henri Saguet ha composto una musica melodiosa e tematica … che asseconda lo sviluppo delle linee lunghe e ondulate caratteristiche di questo balletto di sogno, di questo balletto d’atmosfera". Quanto al crescendo finale della partitura, racconta lo stesso compositore che ebbe l’ispirazione per terminare la sua musica durante una visita a Jeanne Léger, la moglie di Fernand Léger, presso la casa del marito in Normandia, a Gisors. Durante una passeggiata a mezzogiorno tra i campi, Saguet, colpito dal suono regolare di una campana, spontaneamente si mise a cantare in contrappunto una melodia: sarebbe stato il motivo finale di Les Mirages (8), che avrebbe accompagnato la scomparsa dell’architettura rinascimentale lasciando l’animo dell’Uomo solo negli spazi infiniti (Leandre Vaillat). Dell’impianto coreutico di Les Mirages Lifar scrisse su Le Spectateur del 9 dicembre 1947: “[La coreografia] rinuncia ai grandi gridi e si dipana in linee sinuose, equilibrate, come le nubi che attraversano con nonchalance una bella notte d’estate e la sua tecnica accademica ben si presta a evocare le ondulazioni di un campo di grano accarezzato dalla brezza”. I superbi passi a due, la celebre variazione dell’Ombra, sovente scorporata e presentata ai concorsi del Balletto dell’Opéra, il balletto Les Mirages nel suo complesso sono pezzi di atmosfera: un’atmosfera densa di emozioni e di lirismo, creata dal sapiente utilizzo del linguaggio coreutico neoclassico, messo a punto da Lifar. Il suo lessico si rifà alla danza accademica e la completa con l’introduzione di nuovi movimenti, quali l’arabesque décalé, con l’accentuazione delle posizioni parallele a scapito dello en dehors e, in particolare, con l’aggiunta della sesta e della settima posizione –piedi paralleli e un piede dietro l’altro in fila, rispettivamente-. Queste permettono alla ballerina di flettere le ginocchia stando in punta senza aprirle e prolungare il movimento spostando l’asse verticale del corpo e il centro di gravità, altra eredità dei Ballets Russes. La tecnica rinnovata permette un movimento che sembra non arrestarsi mai, creando il clima voluto: nel caso di Les Mirages i nuovi artifici tecnici sono impaginati in modo da trasformare, attraverso la danza pura, i personaggi in vere e proprie figure di sogno, accentuando l’atmosfera onirica. Come in Nijinska e in Balanchine, anche in Lifar l’idioma accademico funge da trampolino per l’innovazione. Ma Balanchine utilizza la rinnovata tecnica classica per muoversi verso l’astrazione, sotto l’influenza americana, mentre Lifar resta aderente ai classici soggetti della cultura europea: la mitologia, la tragedia e, come in Les Mirages, i grandi temi filosofici che investono la vita dell’uomo. Nel passo a due finale tra il Giovane e l’Ombra le legazioni dei due sono perfettamente simmetriche: la coreografia illustra la simbiosi dei due personaggi; la dicotomia tra sogno e realtà è più che altro apparente: il sogno sta alla realtà come l’Ombra sta al Giovane. Non ci può essere uno se non c’è l’altra. E’ stato scritto (Patricia Boccadoro ed altri) che con Les Mirages Lifar ha creato un’atmosfera alla quale si sarebbero successivamente ispirati Maurice Béjart e Roland Petit, ad esempio in Le Jeune Homme et la Mort. FONTE LETTERARIA. Per la sua creazione Lifar si era ispirato al lungo poema La Nuit de Décembre di Alfred de Musset, pubblicato nel 1835. E’ parte del suo capolavoro lirico Les Nuits, dedicato ai temi connessi tra loro del dolore, dell'amore e dell'ispirazione; questo raccoglie Nuits de mai, d'août, d'octobre, de décembre apparsi tra il 1835 e il 1837. Nel poema il Poeta ricorda i passaggi salienti della sua vita: l’infanzia, l’adolescenza, la prima delusione d’amore, gli anni di libertinaggio, la morte del padre. In ciascuna delle circostanze ricordate è presente una Visione, ogni volta diversa, ma sempre simile al Poeta in quel momento. La Visione tace in ogni occasione, ma ricalca il comportamento del Poeta: è la materializzazione dei suoi sentimenti e, pur in compagnia di essa, il Poeta rimane solo. La Visione si rivelerà come lo stesso Poeta: la solitudine non è altro che il doppio del Poeta. Riportiamo alcune strofe significative:
NOTE
(1) Lifar, [Ba] pag. 52 (2) [Ba] pag. 52 (3) Per le notizie attinenti la presenza di Lifar all’Opéra si vedano [Gu] pag. 167-186 e l’intero articolo [Pa] (4) [Ba] pag. 21 (5) [Li] pag. 25, 46 (6) [Ba] pag. 52 (7) Lifar, [Ba] pag. 52 (8) [Sa] BIBLIOGRAFIA [Ba] Ballet de l’Opéra, LIFAR / MALANDAIN, Saison 2006-2007, Opéra de Paris, programma di sala [Be] Cyril Beaumont, Ballets Past & Present, Putnam, London, 1955 [Gu] Ivor Guest, Le Ballet de l’Opéra de Paris, Flammarion, Paris 2001 [Li] Serge Lifar à l’Opéra, Editions de la Martinière, 2006 [Pa] Claire Paolacci (traduzione Charles S. Heppleston), Serge Lifar and the Paris Opera during World War II, Journal of the Oxford University History Society, 2004, p. 1-9 [Sa] Henri Saguet, La Musique, ma Vie, Séguier, Archimbaud, 2001 Marino Palleschi balletto.net CURIOSITA'
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