Marino Palleschi
Schiaccianoci, Re dei Topi e la Noce Dura
La drammaturgia del balletto Schiaccianoci ha come fonte letteraria il racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann dal titolo Nussknacker und Mausekönig (Schiaccianoci e il Re dei Topi), tuttavia non nella versione originale dello scrittore prussiano, ma in quella francese, Histoire d’un Casse-Noisette, di Alexandre Dumas padre. Questa seconda è la proposta letta dal principe Ivan Alexandrovic Vsevolojskij, direttore dei Teatri Imperiali russi, e trovata così intrigante da convincerlo a suggerirne la vicenda a Marius Petipa e a Tchaikovsky come soggetto di un balletto per la stagione 1892 del Marijinsky di San Pietroburgo. Mentre lo scritto stringato di Hoffmann è disseminato di elementi diabolici, che fanno la loro intrusione inaspettata nella realtà quotidiana, la narrazione di Dumas stempera gli aspetti più inquietanti, diluendoli in una stesura di maggior respiro, condotta con linguaggio quasi salottiero, maggiormente consono alla magica atmosfera di fiaba veicolata da Petipa nel suo libretto e da Ivanov nella relativa coreografia. La revisione di Dumas appare nel 1844, elaborata dal racconto di Hoffmann, scritto nel 1816 per la collana di fiabe per ragazzi Kinder-Märchen e ricomparso nel 1819-21 nella raccolta Die Serapionsbrüder (I Confratelli di san Serapione).
Gli elementi sinistri, sovente interpretabili in termini analitici, sono espunti da Petipa nella stesura del libretto per il balletto, ma riaffiorano in qualche misura in alcune versioni del balletto che lo interpretano come una metafora dei sentimenti conflittuali degli adolescenti, allorché il desiderio di acquisire uno stato adulto si alterna alla paura, crescendo, di perdere una condizione di sicurezza e di innocenza.
Per illustrare la maggiore complessità del testo letterario rispetto alla drammaturgia consueta del balletto, dividiamo convenzionalmente lo scritto in tre parti, anticipando che quella intermedia è dedicata al racconto di una fiaba apparentemente svincolata dalla principale, nella quale viene inserita: si tratta della fiaba della noce dura, completamente espunta da Petipa nel libretto.
Gli elementi sinistri, sovente interpretabili in termini analitici, sono espunti da Petipa nella stesura del libretto per il balletto, ma riaffiorano in qualche misura in alcune versioni del balletto che lo interpretano come una metafora dei sentimenti conflittuali degli adolescenti, allorché il desiderio di acquisire uno stato adulto si alterna alla paura, crescendo, di perdere una condizione di sicurezza e di innocenza.
Per illustrare la maggiore complessità del testo letterario rispetto alla drammaturgia consueta del balletto, dividiamo convenzionalmente lo scritto in tre parti, anticipando che quella intermedia è dedicata al racconto di una fiaba apparentemente svincolata dalla principale, nella quale viene inserita: si tratta della fiaba della noce dura, completamente espunta da Petipa nel libretto.
La prima parte si apre in casa Stahlbaum, durante la vigilia di Natale, con la consegna alla piccola Maria e al fratellino Fritz dei doni natalizi: un esercito di ussari per Fritz e per Maria una nuova bambola, alla quale verrà dato il nome di Claire. Li raggiunge il padrino dei bambini, il dottor Drosselmeier, appassionato e abile costruttore di piccoli automi meccanici – in Dumas e in Petipa i nomi dei personaggi mutano in Silberhhaus e Drosselmeyer rispettivamente, acquisendo col cambiamento una connotazione fantasiosa, consona al prosieguo -.
Si tratta di una piccola riunione: il padrino è il solo invitato e, oltre ai personaggi detti, in casa Stahlbaum ci sono soltanto i genitori dei ragazzi, ai quali Dumas aggiunge una governante, oltre al cane di casa. Probabilmente Petipa coglie lo spunto per ambientare una festa natalizia in casa Stahlbaum in parte dalla riunione di bambini alla quale Dumas ha fatto cenno nel prologo alla sua riduzione, ma soprattutto proprio dal dono portato da Drosselmeier: un castello in miniatura dove ferve un’attività intensa, alimentata da pupazzi perfettissimi da lui stesso costruiti e animati da movimenti meccanici. Sembra che nel castello sia in atto una festa con numerosi convenuti, rallegrata, tra gli altri, da un sosia meccanico del padrino e da una serie di pupazzi, dall’aspetto di bambini, che ballano in soggiorno.
Tra i doni sotto l’albero, Maria scopre un secondo pupazzo che richiama la figura di Drosselmeier, con lo stesso mantello, lo stesso cappello che copre la calvizie dell’amico di famiglia e una simile benda nera all’occhio perduto, ma con la funzione pratica di schiaccianoci. Inutile dire che Maria se ne innamora fin da subito. Il fatto che il padrino di Maria e due burattini, uno dei quali è proprio Schiaccianoci, abbiano in comune particolari fisici e del vestiario caratterizzanti non deve essere sfuggito a Nureyev, che, nella sua versione del balletto, allo stesso ballerino farà impersonare sia Drosselmeyer che Schiaccianoci, allorché mutato in Principe.
A sera inoltrata la bambina ha il permesso di trattenersi a giocare ancora un poco ed è allora che assiste o – dirà la madre la mattina seguente – crede di assistere al consueto episodio notturno: gli ussari e altri giocattoli prendono vita per ingaggiare una battaglia contro un esercito di topi, che ha invaso il soggiorno di casa Stahlbaum, guidato da un Re con sette teste, particolare reso esplicito da George Balanchine nella sua prima versione. Questa prima parte del racconto di Hoffmann è resa particolarmente misteriosa da brevi passaggi che si spiegheranno solo in seguito, con rivelazioni contenute nel racconto dedicato alla noce dura. L’accenno più importante è la dichiarazione del Re dei Topi di dover combattere Schiaccianoci per vendicare sua madre. Vedremo il significato di tutto ciò, ma Petipa non può chiaramente far menzione di questi passaggi poiché il loro significato è svelato nella fiaba da lui soppressa. Quando Schiaccianoci sta per essere sopraffatto, la stessa Maria mette in fuga i topi assalitori scagliando la sua scarpetta contro il Re dei Topi, particolare anch’esso ripreso nella versione Balanchine. Già in Hoffmann appaiono, quindi i nomi Maria e Clara rispettivamente per la protagonista e per la bambola appena ricevuta in dono. Entrambi, assieme a Claire e a Masha, diminutivo russo di Maria, saranno usati indifferentemente per la piccola protagonista delle successive versioni del balletto. Diciamo subito che in Petipa la bimba è Clara o Claire.
Si tratta di una piccola riunione: il padrino è il solo invitato e, oltre ai personaggi detti, in casa Stahlbaum ci sono soltanto i genitori dei ragazzi, ai quali Dumas aggiunge una governante, oltre al cane di casa. Probabilmente Petipa coglie lo spunto per ambientare una festa natalizia in casa Stahlbaum in parte dalla riunione di bambini alla quale Dumas ha fatto cenno nel prologo alla sua riduzione, ma soprattutto proprio dal dono portato da Drosselmeier: un castello in miniatura dove ferve un’attività intensa, alimentata da pupazzi perfettissimi da lui stesso costruiti e animati da movimenti meccanici. Sembra che nel castello sia in atto una festa con numerosi convenuti, rallegrata, tra gli altri, da un sosia meccanico del padrino e da una serie di pupazzi, dall’aspetto di bambini, che ballano in soggiorno.
Tra i doni sotto l’albero, Maria scopre un secondo pupazzo che richiama la figura di Drosselmeier, con lo stesso mantello, lo stesso cappello che copre la calvizie dell’amico di famiglia e una simile benda nera all’occhio perduto, ma con la funzione pratica di schiaccianoci. Inutile dire che Maria se ne innamora fin da subito. Il fatto che il padrino di Maria e due burattini, uno dei quali è proprio Schiaccianoci, abbiano in comune particolari fisici e del vestiario caratterizzanti non deve essere sfuggito a Nureyev, che, nella sua versione del balletto, allo stesso ballerino farà impersonare sia Drosselmeyer che Schiaccianoci, allorché mutato in Principe.
A sera inoltrata la bambina ha il permesso di trattenersi a giocare ancora un poco ed è allora che assiste o – dirà la madre la mattina seguente – crede di assistere al consueto episodio notturno: gli ussari e altri giocattoli prendono vita per ingaggiare una battaglia contro un esercito di topi, che ha invaso il soggiorno di casa Stahlbaum, guidato da un Re con sette teste, particolare reso esplicito da George Balanchine nella sua prima versione. Questa prima parte del racconto di Hoffmann è resa particolarmente misteriosa da brevi passaggi che si spiegheranno solo in seguito, con rivelazioni contenute nel racconto dedicato alla noce dura. L’accenno più importante è la dichiarazione del Re dei Topi di dover combattere Schiaccianoci per vendicare sua madre. Vedremo il significato di tutto ciò, ma Petipa non può chiaramente far menzione di questi passaggi poiché il loro significato è svelato nella fiaba da lui soppressa. Quando Schiaccianoci sta per essere sopraffatto, la stessa Maria mette in fuga i topi assalitori scagliando la sua scarpetta contro il Re dei Topi, particolare anch’esso ripreso nella versione Balanchine. Già in Hoffmann appaiono, quindi i nomi Maria e Clara rispettivamente per la protagonista e per la bambola appena ricevuta in dono. Entrambi, assieme a Claire e a Masha, diminutivo russo di Maria, saranno usati indifferentemente per la piccola protagonista delle successive versioni del balletto. Diciamo subito che in Petipa la bimba è Clara o Claire.
Fin qui si nota una sostanziale aderenza alla drammaturgia di Petipa e la somiglianza continua passando direttamente alla terza parte del racconto di Hoffmann, ma evitando, come prima, un’altra precisazione, che si spiegherebbe anch’essa solo con la conoscenza della fiaba espunta della noce dura. Protagonista di questa fiaba è un giovane, trasformato da un maleficio in uno Schiaccianoci, e, per una serie di ragioni che vedremo, Maria si convince che costui è proprio lo Schiaccianoci-burattino ricevuto in dono a Natale e riposto nell’armadio dei giocattoli. In aggiunta questo sfortunato ragazzo può essere riguardato – e chiariremo in che senso - come un nipote di Drosselmeier, col che è naturale che si manifesti il fenomeno, frequente nelle fiabe, di infondere vita negli esseri inanimati, identificandoli agli uomini. Nel seguito il ragazzo scamperà al maleficio riottenendo il suo consueto aspetto e ciò spiega la trasformazione di Schiaccianoci in essere umano anche nel balletto. Egli avrà, inoltre, un duplice destino: quello di condurre Maria in un mondo di fantasia e, successivamente, quello di diventare il suo “principe azzurro”.
Per ottenere la trama del balletto come fece Petipa, saltando la parte intermedia del racconto di Hoffmann, basta semplicemente far assumere al burattino l’aspetto di un essere vivente senza precisare che egli ha relazione col nipote di Drosselmeier. Basta, cioè, mutare direttamente il pupazzo Schiaccianoci in un ipotetico e futuro Principe azzurro o soltanto in un piccolo amico di Maria, al quale affidare il compito di accompagnarla nel Paese dei Dolciumi. L’enfatizzazione di uno di questi due ruoli darà luogo alle due principali linee evolutive del balletto.
Per ottenere la trama del balletto come fece Petipa, saltando la parte intermedia del racconto di Hoffmann, basta semplicemente far assumere al burattino l’aspetto di un essere vivente senza precisare che egli ha relazione col nipote di Drosselmeier. Basta, cioè, mutare direttamente il pupazzo Schiaccianoci in un ipotetico e futuro Principe azzurro o soltanto in un piccolo amico di Maria, al quale affidare il compito di accompagnarla nel Paese dei Dolciumi. L’enfatizzazione di uno di questi due ruoli darà luogo alle due principali linee evolutive del balletto.
La seconda possibilità per l’identificazione è in linea con la scelta originale di Petipa, seguita dalla coreografia di Lev Ivanov, e riproposta da Nikolaij Sergeev, da George Balanchine e da tutti quei coreografi che collocano la loro proposta lungo la linea evolutiva del modello originale di base, ossia quelle ove predomina l’elemento fiabesco e magico, adatto a veicolare l’incanto dell’atmosfera natalizia.
L’identificazione di Schiaccianoci col “principe azzurro” di Maria è, invece, alla base di tutte le versioni che interpretano la vicenda in chiave psicoanalitica e che tendono a “una definizione in termini freudiani del sogno della protagonista” (Marinella Guatterini). La proposta capostipite, tra le seconde, è quella di Vasjli Vajnonen, il quale affida a Masha anche il passo a due della Fata Confetto. La variante era già stata praticata in altre versioni, ad esempio quella di Aleksandr Gorskij, ma senza implicazioni drammaturgiche, mentre nel caso Vajnonen, unita alla presenza di altri riferimenti psicoanalitici, suggerisce l’interpretazione dell’intera vicenda come un viaggio attraverso l’adolescenza verso l’età adulta. Ciò è ottenuto, tra altre cose, intervenendo sul passo a due finale per presentarlo come un grand pas per i protagonisti e quattro cavalieri. Nell’alludere in tal modo all’adagio della Rosa de La Bella, il grand pas si fa, dunque, metafora del ruolo iniziatico dell’amore e della maturità raggiunta dalla protagonista per una vita adulta. Il rimando è reso evidente da una precedente serie di citazioni di balletti di Petipa, la quale, a fronte dell’interpretazione analitica del balletto, concilia la tradizione dei teatri Imperiali con la creatività e il desiderio di innovazione caratterizzanti il periodo post rivoluzionario russo.
Non è senza conseguenza il fatto che un giovane Nureyev assista ancora da studente a numerose riprese della versione Vajnonen e che vi interpreti il ruolo del Principe in otto recite ancor prima di diplomarsi. Rudolf Nureyev sfrutta l’idea di Vajnonen nel profondo e nella sua versione non si limita a trasformare il personaggio di Clara in quello della Fata del suo stesso sogno: identifica anche il personaggio di Drosselmeyer con quello del Principe Schiaccianoci, suggerendo che è il fascino esercitato dal misterioso adulto amico di famiglia a preparare l’adolescente all’attrazione che la futura donna proverà per chi potrà forse condividere la sua vita adulta. Sempre in chiave psicoanalitica sono da intendere le versioni create da Evgheni Poliakov e da Mikhail Baryshnikov.
L’identificazione di Schiaccianoci col “principe azzurro” di Maria è, invece, alla base di tutte le versioni che interpretano la vicenda in chiave psicoanalitica e che tendono a “una definizione in termini freudiani del sogno della protagonista” (Marinella Guatterini). La proposta capostipite, tra le seconde, è quella di Vasjli Vajnonen, il quale affida a Masha anche il passo a due della Fata Confetto. La variante era già stata praticata in altre versioni, ad esempio quella di Aleksandr Gorskij, ma senza implicazioni drammaturgiche, mentre nel caso Vajnonen, unita alla presenza di altri riferimenti psicoanalitici, suggerisce l’interpretazione dell’intera vicenda come un viaggio attraverso l’adolescenza verso l’età adulta. Ciò è ottenuto, tra altre cose, intervenendo sul passo a due finale per presentarlo come un grand pas per i protagonisti e quattro cavalieri. Nell’alludere in tal modo all’adagio della Rosa de La Bella, il grand pas si fa, dunque, metafora del ruolo iniziatico dell’amore e della maturità raggiunta dalla protagonista per una vita adulta. Il rimando è reso evidente da una precedente serie di citazioni di balletti di Petipa, la quale, a fronte dell’interpretazione analitica del balletto, concilia la tradizione dei teatri Imperiali con la creatività e il desiderio di innovazione caratterizzanti il periodo post rivoluzionario russo.
Non è senza conseguenza il fatto che un giovane Nureyev assista ancora da studente a numerose riprese della versione Vajnonen e che vi interpreti il ruolo del Principe in otto recite ancor prima di diplomarsi. Rudolf Nureyev sfrutta l’idea di Vajnonen nel profondo e nella sua versione non si limita a trasformare il personaggio di Clara in quello della Fata del suo stesso sogno: identifica anche il personaggio di Drosselmeyer con quello del Principe Schiaccianoci, suggerendo che è il fascino esercitato dal misterioso adulto amico di famiglia a preparare l’adolescente all’attrazione che la futura donna proverà per chi potrà forse condividere la sua vita adulta. Sempre in chiave psicoanalitica sono da intendere le versioni create da Evgheni Poliakov e da Mikhail Baryshnikov.
Ma vediamo cosa avviene nella seconda parte del racconto di Hoffmann per comprendere quali suggestioni convincano Maria ad identificare un pupazzo con un essere umano, sia esso bambino, ragazzo o principe e per quale motivo alcune versioni come quella di Wright e di Hynd introducano un nipote di Drosselmeyer. Durante lo scontro notturno tra ussari e topi Maria si è ferita accidentalmente rompendo il vetro di un’anta dell’armadio dei giocattoli. Costretta a letto per qualche giorno, quando riceve la visita di Drosselmeier, ricorda immediatamente di averlo notato quella notte spaventosa appollaiato sull’orologio a pendolo e lo rimprovera di non essere intervenuto in difesa del burattino. Per farsi perdonare il padrino le racconta la fiaba della noce dura, ma sarà presto chiaro che non si tratta proprio di una fiaba, bensì del resoconto di un episodio realmente accaduto, che getta luce sul motivo dell’inazione di Drosselmeier. Egli inizia così a raccontare di un Re e di una Regina, genitori di Pirlipatine, la piccola principessina Pirlipat, e di un abilissimo artigiano che viveva vicino al loro piccolo regno: un certo Christian Elias Drosselmeier.
Inizia così un racconto nel racconto, in cui compare questo personaggio, Drosselmeier, che, con il padrino di Maria, condivide il nome e l’abilità artigianale. Hoffmann ha già reso chiaro che il suo scritto si caratterizza per l’indistinguibilità tra la realtà e le fantasie più inquietanti o più stupefacenti. Già la presenza di due Drosselmeier comincia a insinuare il sospetto che il secondo sia proprio il padrino di Maria e tale impressione si rafforzerà coi prossimi particolari della fiaba: anzi, probabilmente stiamo proprio per ascoltare dalla voce di Drosselmeier ciò che fiaba non è, ma che è semplicemente il racconto di una vicenda vera capitata a lui e, come vedremo, al nipote.
La corte dei genitori di Pirlipat era funestata da una regina dei topi, la Signora Mauserrinks, Dame Souriçonne in Dumas, madre proprio del Re dei topi che aveva spaventato Maria. Prima ancora che nascesse Pirlipat, la Signora Mauserrinks e la sua corte di topi avevano divorato buona parte del grasso indispensabile alla Regina per cucinare sanguinacci e squisite salsicce in onore di numerosi sovrani e notabili vari, venuti in visita. Perché non si ripetesse il tragico evento, il Re era corso ai ripari incaricando l’abile Drosselmeier di liberare il reame dalla presenza dei topi. Le trappole costruite dall’artigiano si erano rivelate così efficaci che la strage conseguente aveva convinto Dame Souriçonne ad allontanarsi dalla corte coi superstiti, ma soltanto dopo aver giurato vendetta: i morsi dei suoi denti aguzzi avrebbero distrutto il viso di ogni erede reale. La minaccia si concretizza dopo la nascita della Principessina Pirlipat quando Dame Souriçonne riesce con i propri morsi a trasformare la bellissima bambina in un mostriciattolo. Tuttavia Drosselmeier, con l’aiuto dell’astrologo di corte, scopre che il fatto malefico è reversibile: la Principessa ritroverà il suo aspetto se mangerà la noce Krakatuk, il cui guscio, durissimo, sembra, però, impossibile poter frantumare. Naturalmente il rituale per sciogliere il maleficio è assai più complesso e, tra molte altre cose, richiede che la noce sia aperta da un giovane con particolari requisiti. Per trovare la noce e il ragazzo che la sappia aprire, a Drosselmeier e all’astrologo vengono concessi quattordici anni e nove mesi, che trascorrono in funambolesche ricerche attraverso le più lontane parti del mondo, costellate di avventure che porteranno Drosselmeier a perdere i capelli e un occhio a causa di una freccia scagliata da un caraibico. Poiché i particolari fisici sono comuni al Drosselmeier della fiaba e al padrino di Maria, essi avallano ulteriormente l’idea che si tratti della stessa persona e che il fatto raccontato non sia proprio una fiaba. Dopo molte peripezie la noce viene trovata in casa del fratello di Drosselmeier e il ragazzo capace d’aprirla viene individuato nel nipote di Drosselmeier, Nathaniel, il quale, tra l’altro, per la sua abilità di frantumare le noci coi denti, era soprannominato Schiaccianoci dalle ragazze. Dopo il fallimento di migliaia di candidati ad aprire la noce dura, arriva il turno del nipote, tutto procede per il meglio, Pirlipatine riacquista la sua bellezza, ma, nell’avvicinarlesi a ritroso, come richiede il rituale necessario a sciogliere il maleficio, il giovanotto inciampa nella Signora Mauserrinks, uccidendola. Ecco che in quel momento, il bel giovanotto si trasforma in un orribile Schiaccianoci-burattino, nuovo maleficio dal quale potrà scampare a due condizioni: dovrà sostenere un’eroica lotta col Re dei Topi, figlio della Signora Mauserrinks, e dovrà ricevere l’amore di una giovane, nonostante il suo aspetto.
Inizia così un racconto nel racconto, in cui compare questo personaggio, Drosselmeier, che, con il padrino di Maria, condivide il nome e l’abilità artigianale. Hoffmann ha già reso chiaro che il suo scritto si caratterizza per l’indistinguibilità tra la realtà e le fantasie più inquietanti o più stupefacenti. Già la presenza di due Drosselmeier comincia a insinuare il sospetto che il secondo sia proprio il padrino di Maria e tale impressione si rafforzerà coi prossimi particolari della fiaba: anzi, probabilmente stiamo proprio per ascoltare dalla voce di Drosselmeier ciò che fiaba non è, ma che è semplicemente il racconto di una vicenda vera capitata a lui e, come vedremo, al nipote.
La corte dei genitori di Pirlipat era funestata da una regina dei topi, la Signora Mauserrinks, Dame Souriçonne in Dumas, madre proprio del Re dei topi che aveva spaventato Maria. Prima ancora che nascesse Pirlipat, la Signora Mauserrinks e la sua corte di topi avevano divorato buona parte del grasso indispensabile alla Regina per cucinare sanguinacci e squisite salsicce in onore di numerosi sovrani e notabili vari, venuti in visita. Perché non si ripetesse il tragico evento, il Re era corso ai ripari incaricando l’abile Drosselmeier di liberare il reame dalla presenza dei topi. Le trappole costruite dall’artigiano si erano rivelate così efficaci che la strage conseguente aveva convinto Dame Souriçonne ad allontanarsi dalla corte coi superstiti, ma soltanto dopo aver giurato vendetta: i morsi dei suoi denti aguzzi avrebbero distrutto il viso di ogni erede reale. La minaccia si concretizza dopo la nascita della Principessina Pirlipat quando Dame Souriçonne riesce con i propri morsi a trasformare la bellissima bambina in un mostriciattolo. Tuttavia Drosselmeier, con l’aiuto dell’astrologo di corte, scopre che il fatto malefico è reversibile: la Principessa ritroverà il suo aspetto se mangerà la noce Krakatuk, il cui guscio, durissimo, sembra, però, impossibile poter frantumare. Naturalmente il rituale per sciogliere il maleficio è assai più complesso e, tra molte altre cose, richiede che la noce sia aperta da un giovane con particolari requisiti. Per trovare la noce e il ragazzo che la sappia aprire, a Drosselmeier e all’astrologo vengono concessi quattordici anni e nove mesi, che trascorrono in funambolesche ricerche attraverso le più lontane parti del mondo, costellate di avventure che porteranno Drosselmeier a perdere i capelli e un occhio a causa di una freccia scagliata da un caraibico. Poiché i particolari fisici sono comuni al Drosselmeier della fiaba e al padrino di Maria, essi avallano ulteriormente l’idea che si tratti della stessa persona e che il fatto raccontato non sia proprio una fiaba. Dopo molte peripezie la noce viene trovata in casa del fratello di Drosselmeier e il ragazzo capace d’aprirla viene individuato nel nipote di Drosselmeier, Nathaniel, il quale, tra l’altro, per la sua abilità di frantumare le noci coi denti, era soprannominato Schiaccianoci dalle ragazze. Dopo il fallimento di migliaia di candidati ad aprire la noce dura, arriva il turno del nipote, tutto procede per il meglio, Pirlipatine riacquista la sua bellezza, ma, nell’avvicinarlesi a ritroso, come richiede il rituale necessario a sciogliere il maleficio, il giovanotto inciampa nella Signora Mauserrinks, uccidendola. Ecco che in quel momento, il bel giovanotto si trasforma in un orribile Schiaccianoci-burattino, nuovo maleficio dal quale potrà scampare a due condizioni: dovrà sostenere un’eroica lotta col Re dei Topi, figlio della Signora Mauserrinks, e dovrà ricevere l’amore di una giovane, nonostante il suo aspetto.
Il racconto è disseminato di troppi indizi che riportano alla vita reale di Maria perché la bambina dubiti di aver ascoltato un fatto vero: il pupazzo nell’armadio dei giocattoli non può che essere proprio il nipote del padrino, trasformato in Schiaccianoci, ed è anche spiegata la sete di vendetta espressa dal Re dei topi nei confronti di chi aveva ucciso sua madre. Drosselmeier ha chiaramente fatto bene a non intervenire la notte dell’assalto dei topi, sperando che il nipote compisse da solo quel gesto eroico che avrebbe avviato la risoluzione dell’incantesimo. Ma quella notte Schiaccianoci era stato salvato dall’intervento della bambina. Inizia una serie di ricatti perpetrati dal Re dei topi a danno di Maria, finché Schiaccianoci riesce a porvi termine affrontando nuovamente il suo nemico e uccidendolo in combattimento. Finalmente il gesto eroico è compiuto e Schiaccianoci è sulla buona strada per riottenere il suo aspetto umano.
Ora, passando attraverso la manica foderata di pelliccia di un mantello del giudice Stahlbaum, Schiaccianoci conduce la giovane in un regno fatato, dove i desideri golosi dei bambini sono resi concreti: dal prato Zucchero Filato al rio Aranciata, dal fiume Limonata al mare Latte di Mandorle, dal fiume Essenza di Rose ai palazzi di marzapane e alle mille altre dolci meraviglie di Confituremberg, la capitale del regno fatato di cui Schiaccianoci si è rivelato Principe. E’ chiaro come questa parte del racconto, opportunamente trattata e dilatata, abbia suggerito a Petipa e a Ivanov il divertissement del secondo atto e l’apoteosi; interessante il fatto che Hynd sviluppi questo punto in modo ancor più aderente al racconto originale. Esso prosegue con un’alternanza di elementi fantastici e realtà, affermando così – tema caro ad Hoffmann – l’impossibilità di annullare il dissidio tra i due mondi, che appaiono convivere necessariamente. E’ in quest’ultima parte dei lavori di Hoffmann e di Dumas che ritroviamo gli spunti per un’interpretazione “adulta” del balletto. I genitori non credono al resoconto di Maria del suo viaggio a Confituremberg, ma la giovane mostra loro le sette corone sottratte alle sette teste del Re dei topi. Drosselmeier risolve il dissidio ricordando che esse sono un suo vecchio dono. Maria, ormai convinta che si sia trattato tutto di un sogno, dichiara al suo Schiaccianoci-giocattolo che, se così non fosse, lei non gli rifiuterebbe il suo amore a causa del suo aspetto, come aveva, invece, fatto Pirlipatine. Se non fosse stato tutto un sogno, ecco che sarebbe soddisfatto anche il secondo requisito necessario a ridare a Nathaniel l’aspetto umano. Ma è evidente che si è trattato di un fantastico sogno; eppure ecco sopraggiungere il padrino Drosselmeier a far visita agli Stahlbaum, curiosamente in compagnia di un bellissimo giovanotto: il nipote Nathaniel, da pochissimo ritornato dopo anni a Norimberga. Costui si dichiara riconoscente a Maria per averlo aiutato a sciogliere l’incantesimo, la chiede in moglie e, dopo un anno trascorso in attesa del matrimonio, la conduce nel regno, di cui è diventato sovrano, pieno di cose così dolcemente miracolose che solo una vista acuta può vedere. Quindi, come detto in precedenza, già il racconto di Hoffmann identifica Schiaccianoci al compagno di una Maria ormai adulta, destinata a una vita felice dopo gli ostacoli posti dalla presenza del Re dei topi e dopo una scelta matura che trascende il poco attraente aspetto esteriore dell’amato Schiaccianoci.