Genesi di un capolavoro: Giselle e il suo libretto
E’ fatto raro poter rintracciare l’origine di un capolavoro e seguire da vicino l'evoluzione della sua creazione, dalla prima idea all’opera compiuta. Ciò è però possibile per il balletto Giselle ou les Wilis, grazie alla documentazione pervenutaci, a partire dalla recensione della prima rappresentazione del balletto, apparsa sul giornale La Presse per la penna di Théophile Gautier, poeta e romanziere romantico, critico teatrale, protagonista della rinascita letteraria francese, autore del Roman de la momie, di Mademoiselle de Maupin, del poema Emaux et Camées, manifesto in versi dell' "arte per l'arte", del feuilleton Le Capitaine Fracasse, di libri di viaggio, giornalista, sostenitore di Baudelaire e dei poeti maledetti, responsabile del soggetto e di parte del libretto di Giselle.
E' lo steso Gautier a scrivere nell'articolo che l’idea di un balletto ispirato alla leggenda folkloristica delle Willi, simile a quella degli Elfi, ma di origine slava, gli era venuta durante la lettura del libro De l’Allemagne dell'amico Heinrich Heine. Nella recensione, scritta in forma epistolare come lettera allo stesso Heine, informa il collega di quanto lo avesse colpito il passaggio suggestivo che riferiva della presenza, in una parte dell’Austria, sulle montagne dello Harz, di Willi, spiriti di giovani morte prima del matrimonio, incapaci di trovare riposo nelle loro tombe. L’origine della prima idea non spiega, però, l’irrefrenabile passione delle Willi per la danza, anche se lo stesso Heine attribuisce loro questo desiderio, e non giustifica la loro sete di vendetta nei confronti dell’altro sesso, che esse soddisfano costringendo a danzare fino alla morte il malcapitato che si imbatta nelle loro incursioni notturne.
La rivalsa sul sesso opposto è chiarita dal Kauversationslexicon di Meyer, che descrive le Willi come vampiri – in slavo vila significa vampiro – , spiriti di giovani fidanzate, morte per il dolore provocato dal tradimento del promesso sposo. Questa fonte, segnalata dal Beaumont, spiega la funzione del personaggio di Albrecht e del suo inganno.
E' lo steso Gautier a scrivere nell'articolo che l’idea di un balletto ispirato alla leggenda folkloristica delle Willi, simile a quella degli Elfi, ma di origine slava, gli era venuta durante la lettura del libro De l’Allemagne dell'amico Heinrich Heine. Nella recensione, scritta in forma epistolare come lettera allo stesso Heine, informa il collega di quanto lo avesse colpito il passaggio suggestivo che riferiva della presenza, in una parte dell’Austria, sulle montagne dello Harz, di Willi, spiriti di giovani morte prima del matrimonio, incapaci di trovare riposo nelle loro tombe. L’origine della prima idea non spiega, però, l’irrefrenabile passione delle Willi per la danza, anche se lo stesso Heine attribuisce loro questo desiderio, e non giustifica la loro sete di vendetta nei confronti dell’altro sesso, che esse soddisfano costringendo a danzare fino alla morte il malcapitato che si imbatta nelle loro incursioni notturne.
La rivalsa sul sesso opposto è chiarita dal Kauversationslexicon di Meyer, che descrive le Willi come vampiri – in slavo vila significa vampiro – , spiriti di giovani fidanzate, morte per il dolore provocato dal tradimento del promesso sposo. Questa fonte, segnalata dal Beaumont, spiega la funzione del personaggio di Albrecht e del suo inganno.
La ragione di attribuire alle Willi un amore smodato per la danza, oltre che nel cenno fatto da Heine, va verosimilmente ricercata – ipotizza Ivor Guest – in una scena, contenuta nel melodramma La Fille de l’Air del 1837, che Gautier conosceva certamente o per visione diretta o per il racconto fattogli dall’amico Jules Perrot, che aveva trasposto l’argomento del melodramma nel suo balletto Der Kobold. Guest si riferisce al quadro in cui uno stuolo di Willi era condotto dalla loro Regina a recuperare un talismano caduto nelle mani di un mortale.
Evocate dalle loro tombe, in una scena di pura danza sulle note de Les Huguenots le giovani morte volteggiavano a gruppi e in cerchi attorno all’eroe per sfinirlo, ma, vicine a raggiungere lo scopo, desistevano per l'intervento dello spirito dell’aria.
E’ ancora Guest a osservare che l’atmosfera macabra e sinistra creata dalle Willi assetate di vendetta e il loro bisogno di danzare è presente anche in un altro lavoro di Heine, Les Nuites Florentines, dove il narratore descrive il fascino esercitato da una giovane, vista danzare in modo ipnotico sul ponte di Waterloo. La fanciulla accompagnava il suo ballo con un gesto delle mani, sfregandole come se le stesse lavando, forse per togliere del sangue. Non è un caso – prosegue Guest - se lo stesso gesto riapparirà nella pazzia di Giselle. L’episodio è un pretesto usato da Heine per notare che è più facile comprendere le donne parigine se osservate, non nelle loro case, ma nelle sale da ballo. Solo lì sprizza la loro gioia di vivere, si esalta la loro pericolosa bellezza, si scatena la loro brama di godimento, come se sapessero di avere pochissimo tempo per sfruttare al massimo una fonte di piacere dalla quale la morte le allontanerà definitivamente. Heine prosegue paragonando a quella delle Willi la furia che, ai balli, si impossessa delle parigine.
Nel momento in cui le donne entrano nel mondo del lavoro e si sovvertono i rapporti tra i due sessi a seguito dei rivolgimenti dovuti alla rivoluzione francese e a quella industriale, l'immagine della donna diventa minacciosa, instabile, poco rassicurante e, curiosamente, la sessuologia ottocentesca, rileva Carmen Covito, indica la danza come il rimedio inconsciamente usato dalle donne per "esprimere in modo.....armonioso la loro eccitazione neuro-muscolare" (Havelock Ellis) e individua la sfrenata passione femminile per il ballo come una manifestazione della "loro natura nervosa predisposta all'isteria" (Harry Campbell).
Evocate dalle loro tombe, in una scena di pura danza sulle note de Les Huguenots le giovani morte volteggiavano a gruppi e in cerchi attorno all’eroe per sfinirlo, ma, vicine a raggiungere lo scopo, desistevano per l'intervento dello spirito dell’aria.
E’ ancora Guest a osservare che l’atmosfera macabra e sinistra creata dalle Willi assetate di vendetta e il loro bisogno di danzare è presente anche in un altro lavoro di Heine, Les Nuites Florentines, dove il narratore descrive il fascino esercitato da una giovane, vista danzare in modo ipnotico sul ponte di Waterloo. La fanciulla accompagnava il suo ballo con un gesto delle mani, sfregandole come se le stesse lavando, forse per togliere del sangue. Non è un caso – prosegue Guest - se lo stesso gesto riapparirà nella pazzia di Giselle. L’episodio è un pretesto usato da Heine per notare che è più facile comprendere le donne parigine se osservate, non nelle loro case, ma nelle sale da ballo. Solo lì sprizza la loro gioia di vivere, si esalta la loro pericolosa bellezza, si scatena la loro brama di godimento, come se sapessero di avere pochissimo tempo per sfruttare al massimo una fonte di piacere dalla quale la morte le allontanerà definitivamente. Heine prosegue paragonando a quella delle Willi la furia che, ai balli, si impossessa delle parigine.
Nel momento in cui le donne entrano nel mondo del lavoro e si sovvertono i rapporti tra i due sessi a seguito dei rivolgimenti dovuti alla rivoluzione francese e a quella industriale, l'immagine della donna diventa minacciosa, instabile, poco rassicurante e, curiosamente, la sessuologia ottocentesca, rileva Carmen Covito, indica la danza come il rimedio inconsciamente usato dalle donne per "esprimere in modo.....armonioso la loro eccitazione neuro-muscolare" (Havelock Ellis) e individua la sfrenata passione femminile per il ballo come una manifestazione della "loro natura nervosa predisposta all'isteria" (Harry Campbell).
Tuttavia la passione per la danza appartiene, oltre che alle Willi, anche a Giselle. Come ha rilevato il Beaumont, il costante desiderio di ballare e l’idea che sia questo ad esserle fatale risultano chiari proseguendo la lettura della recensione di Gautier apparsa su La Presse. Nell’articolo lo scrittore aggiunge di aver subito pensato a un balletto in due atti: nel secondo avrebbe illustrato la leggenda delle Willi, tuttavia andava trovato un tema per il primo atto che conducesse alla morte dell’eroina, in modo che questa potesse ricomparire come Willi. Gautier era un profondo estimatore ed amico di Victor Hugo, lo considerava un'icona dell'espressività romantica e l'aveva sostenuto nella battaglia verbale scatenatasi alla prima rappresentazione di Hernani. Proprio nei versi dello scrittore trovò ispirazione per il primo atto di Giselle, precisamente nel poema Fantômes inserito tra le liriche di Hugo raccolte ne Les Orientales. Il verso
Elle aimait trop le bal, c’est ce qui l’a tuée
riassume il destino fatale di una giovane spagnola uccisa da una tremenda infreddatura presa lasciando, ancora accaldata, la sala da ballo in cui aveva volteggiato per l’intera serata. Gautier concepì una versione del balletto in cui il primo atto sarebbe stato la trasposizione mimata del poema di Hugo. Il sipario si sarebbe aperto su un magnifico salone ancora vuoto, ma già preparato per ricevere gli ospiti a un gran ballo. Le Willi, attirate dall’idea di danzare in un ambiente lussuoso e luccicante, sarebbero apparse brevemente; la loro Regina avrebbe toccato il pavimento col suo serto magico e l’incantesimo avrebbe infuso negli ospiti in arrivo un inarrestabile desiderio di valzer, galop e mazurke. All’arrivo dei primi invitati, le Willi sarebbero scomparse, Giselle avrebbe danzato ininterrottamente sia per l’incantesimo fatto al pavimento, sia per distogliere l’inaffidabile fidanzato da altre donne. Accaldata come la giovane di Hugo, Giselle sarebbe stata colta da un’alba fatalmente rigida.
Tuttavia l’impianto drammaturgico non resse a un’analisi più attenta: l’idea c’era, ma mancava l’azione e tutto si sarebbe ridotto a un confuso susseguirsi di danze. Andando quella sera stessa all’Opéra – continua Gautier nell’articolo – gli capitò di incontrare l’amico Jules Henry Vernoy, Marquis de Saint-Georges, dandy dai gusti raffinatissimi, scrittore dalla penna facile e fantasiosa, dotato di immaginazione assai fervida che presto aveva rivolto al mondo del teatro scrivendo libretti per celebri opere buffe, grand opéra e balletti, tra i quali La Gipsy del 1839 e, l’anno successivo, Le Diable Amoureux. L’abile scrittore fu subito messo a parte dell’idea riguardante Giselle e Gautier, vistone l’entusiasmo, se ne assicurò la collaborazione per aggiustare l’insoddisfacente primo atto. Dopo pochissimo tempo Vernoy de Saint-Georges propose un libretto assai funzionale, che, però, sovvertiva in larghissima misura l’idea iniziale del primo atto, introducendo una serie di personaggi minori e costruendo quello di Albrecht (Albert in origine) in modo che il suo comportamento veicolasse l’atto bianco assommando gli elementi necessari secondo i citati rapporti sulle leggende slave: il tradimento e la morte per dolore.
Elle aimait trop le bal, c’est ce qui l’a tuée
riassume il destino fatale di una giovane spagnola uccisa da una tremenda infreddatura presa lasciando, ancora accaldata, la sala da ballo in cui aveva volteggiato per l’intera serata. Gautier concepì una versione del balletto in cui il primo atto sarebbe stato la trasposizione mimata del poema di Hugo. Il sipario si sarebbe aperto su un magnifico salone ancora vuoto, ma già preparato per ricevere gli ospiti a un gran ballo. Le Willi, attirate dall’idea di danzare in un ambiente lussuoso e luccicante, sarebbero apparse brevemente; la loro Regina avrebbe toccato il pavimento col suo serto magico e l’incantesimo avrebbe infuso negli ospiti in arrivo un inarrestabile desiderio di valzer, galop e mazurke. All’arrivo dei primi invitati, le Willi sarebbero scomparse, Giselle avrebbe danzato ininterrottamente sia per l’incantesimo fatto al pavimento, sia per distogliere l’inaffidabile fidanzato da altre donne. Accaldata come la giovane di Hugo, Giselle sarebbe stata colta da un’alba fatalmente rigida.
Tuttavia l’impianto drammaturgico non resse a un’analisi più attenta: l’idea c’era, ma mancava l’azione e tutto si sarebbe ridotto a un confuso susseguirsi di danze. Andando quella sera stessa all’Opéra – continua Gautier nell’articolo – gli capitò di incontrare l’amico Jules Henry Vernoy, Marquis de Saint-Georges, dandy dai gusti raffinatissimi, scrittore dalla penna facile e fantasiosa, dotato di immaginazione assai fervida che presto aveva rivolto al mondo del teatro scrivendo libretti per celebri opere buffe, grand opéra e balletti, tra i quali La Gipsy del 1839 e, l’anno successivo, Le Diable Amoureux. L’abile scrittore fu subito messo a parte dell’idea riguardante Giselle e Gautier, vistone l’entusiasmo, se ne assicurò la collaborazione per aggiustare l’insoddisfacente primo atto. Dopo pochissimo tempo Vernoy de Saint-Georges propose un libretto assai funzionale, che, però, sovvertiva in larghissima misura l’idea iniziale del primo atto, introducendo una serie di personaggi minori e costruendo quello di Albrecht (Albert in origine) in modo che il suo comportamento veicolasse l’atto bianco assommando gli elementi necessari secondo i citati rapporti sulle leggende slave: il tradimento e la morte per dolore.
E’ ancora il resoconto di Gautier della prima rappresentazione a chiarire che sua fu l’idea generale, mentre il primo atto è da attribuire a Saint-Georges come anche le apparizioni nel secondo dei personaggi minori già introdotti in precedenza. Per quanto riguarda il secondo atto, certamente Gautier suggerì i passaggi drammatici che coinvolgono le Willi, ma è plausibile che gli interventi di Gautier siano stati ancor più sostanziali, come ritiene il Beaumont alla luce della concezione altamente poetica della seconda parte, che appare maggiormente ispirata della struttura del primo atto, efficace e competente, ma di tutta routine.
E’ interessante notare le analogie tra Giselle e il precedente balletto romantico La Sylphide: entrambi contengono i quattro motivi ispiratori del romanticismo assorbiti dal balletto dell'epoca, ossia l'interesse per personaggi comuni anziché dei ed eroi mitologici, la rivalutazione del folklore e dell'esotismo, il gusto per le atmosfere fantastiche e per il soprannaturale, l'adesione della natura e del paesaggio allo stato d'animo dei protagonisti, in totale simbiosi con la natura stessa.
Questo movimento d'avanguardia, affermatosi al tramonto dell'ancien régime, risente dei rivolgimenti portati dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale, in particolare dell'affermarsi della classe media. Si sviluppa in opposizione alla scuola classica e al neoclassicismo, stile internazionale e linguaggio colto, nemico delle specificità locali e popolari al punto da diventare lo stile dell’Impero Napoleonico, anch’esso teso a sopprimere le individualità delle nazioni europee riunendole in un unico Stato. La reazione al classicismo si fa violenta con la caduta di Napoleone e, in opposizione al tentativo classico di soffocare le tradizioni locali, il romanticismo rivaluta il folklore e ogni forma di cultura popolare, alimenta l'interesse per le terre lontane ed esotiche, così diverse da quelle meglio conosciute. Nel balletto romantico tutto ciò si traduce nella sostituzione dei consueti personaggi mitologici con personaggi popolari: contadini scozzesi ne La Sylphide, della Turingia in Giselle. In entrambe le creazioni il primo atto testimonia il gusto per il folklore locale dando spazio a danze di carattere, mentre il colore esotico sarebbe stato presente nel secondo se Saint-Georges non avesse stemperato la prima idea di Gautier che, secondo Ivor Guest, non intendeva presentare le Willi come uno stuolo di spettri vestiti di bianco, ma come fantasmi colorati di giovani, tra le quali una zingara, una ballerina ungherese, una bayadère e un petit rat dell’Opéra.
E’ interessante notare le analogie tra Giselle e il precedente balletto romantico La Sylphide: entrambi contengono i quattro motivi ispiratori del romanticismo assorbiti dal balletto dell'epoca, ossia l'interesse per personaggi comuni anziché dei ed eroi mitologici, la rivalutazione del folklore e dell'esotismo, il gusto per le atmosfere fantastiche e per il soprannaturale, l'adesione della natura e del paesaggio allo stato d'animo dei protagonisti, in totale simbiosi con la natura stessa.
Questo movimento d'avanguardia, affermatosi al tramonto dell'ancien régime, risente dei rivolgimenti portati dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale, in particolare dell'affermarsi della classe media. Si sviluppa in opposizione alla scuola classica e al neoclassicismo, stile internazionale e linguaggio colto, nemico delle specificità locali e popolari al punto da diventare lo stile dell’Impero Napoleonico, anch’esso teso a sopprimere le individualità delle nazioni europee riunendole in un unico Stato. La reazione al classicismo si fa violenta con la caduta di Napoleone e, in opposizione al tentativo classico di soffocare le tradizioni locali, il romanticismo rivaluta il folklore e ogni forma di cultura popolare, alimenta l'interesse per le terre lontane ed esotiche, così diverse da quelle meglio conosciute. Nel balletto romantico tutto ciò si traduce nella sostituzione dei consueti personaggi mitologici con personaggi popolari: contadini scozzesi ne La Sylphide, della Turingia in Giselle. In entrambe le creazioni il primo atto testimonia il gusto per il folklore locale dando spazio a danze di carattere, mentre il colore esotico sarebbe stato presente nel secondo se Saint-Georges non avesse stemperato la prima idea di Gautier che, secondo Ivor Guest, non intendeva presentare le Willi come uno stuolo di spettri vestiti di bianco, ma come fantasmi colorati di giovani, tra le quali una zingara, una ballerina ungherese, una bayadère e un petit rat dell’Opéra.
Il movimento romantico affonda le radici nelle teorie estetiche illuministiche del tedesco Sturm un Drang (tempesta e impeto) (1770-80), contraddistinto da un'esplosione di passionalità ed irrazionalità. Da questo il romanticismo eredita la rivalutazione di sentimento e istinto, anche in opposizione alla razionalità del neoclassicismo. Rinunciare alla ragione per affidarsi alle passioni può portare alla ricerca di atmosfere tenebrose o sognanti, del mistero, del pauroso e del soprannaturale. Ne sono esempi le visioni allucinate di Goya e Gericault, le melodie macabre della Symphonie Fantastique di Berlioz, gli ispirati notturni di Chopin, ma anche le creature misteriose - silfidi, streghe, willy- che popolano i due balletti in questione. In entrambi il fascino per l’elemento soprannaturale è metafora di un’aspirazione umana impossibile da soddisfare e l'atmosfera misteriosa si realizza in pieno nell’atto bianco, che va inteso come una fuga dalla realtà del protagonista, una proiezione dei suoi desideri irrealizzabili, del suo disagio nell'affrontare la vita, dei suoi sensi di colpa. Come era stato per l'atto bianco de La Sylphide, anche quello di Giselle è indebitato alla scena con le tombe delle monache morte di Roberto il Diavolo, origine del balletto romantico. A queste tombe si rifà quella di Giselle e anche il ramoscello magico di rosmarino tra le mani di Myrtha deriva da quello mistico di Roberto.
Ormai il libretto era completato, tre giorni dopo fu accettato dal Direttore dell’Opéra. Era tempo di pensare alla musica e alla coreografia.
Fonti letterarie
- Cecyl W. Beaumont, The Ballet called Giselle, London 1944
- Carmen Covito, Giselle, ovvero il cavaliere doppio e la morte innamorata, in Giselle, Edizioni del Teatro alla Scala, 1998-99
- Ivor Guest, The Romantic Ballet in Paris, London 1966
- Ivor Guest, Jules Perrot, Master of the Romantic Ballet, Dance Books Ltd., 1984
- Serge Lifar, Giselle: apothéose du ballet romantique, Paris 1942
Marino Palleschi
Balletto.net
Ormai il libretto era completato, tre giorni dopo fu accettato dal Direttore dell’Opéra. Era tempo di pensare alla musica e alla coreografia.
Fonti letterarie
- Cecyl W. Beaumont, The Ballet called Giselle, London 1944
- Carmen Covito, Giselle, ovvero il cavaliere doppio e la morte innamorata, in Giselle, Edizioni del Teatro alla Scala, 1998-99
- Ivor Guest, The Romantic Ballet in Paris, London 1966
- Ivor Guest, Jules Perrot, Master of the Romantic Ballet, Dance Books Ltd., 1984
- Serge Lifar, Giselle: apothéose du ballet romantique, Paris 1942
Marino Palleschi
Balletto.net