Genesi di un capolavoro: Giselle, la sua musica e il suo décor
Adolphe Adam, compositore instancabile, dalla vena facilissima, si era lanciato nell’impresa di comporre la musica di Giselle con grande entusiasmo, alimentato dal piacere di lavorare per due buoni amici come Perrot e la Grisi. Come d'abitudine, terminò il lavoro in breve tempo, fornendo una musica che, se non si può considerare eccelsa, è funzionale al lavoro e di qualità ben superiore a quella delle consuete musiche di balletto dell'epoca.
Due sono le caratteristiche che la distinguono. Innanzi tutto capitava sovente che il maestro incaricato della musica di uno spettacolo di danza si limitasse ad arrangiare e cucire musiche note, anche di maestri diversi, eventualmente integrandole con sue creazioni. Con Adam, invece, Giselle ebbe musiche nuove, composte espressamente e in modo organico per una precisa drammaturgia; salvo poche battute da una nota romanza e da un coro dell'Euryanthé di Weber (La France Musicale) e qualche passaggio melodico tratto da una sua precedente composizione, il Faust (Guest), Adam fornì uno spartito interamente originale.
Inoltre per la prima volta una partitura di balletto presentava un accorgimento già ampiamente impiegato nella musica lirica: l’uso del Leitmotiv, ossia la ripetizione di una medesima frase musicale allorché si ripresenta un personaggio o una situazione ai quali è associata quella melodia. Ad esempio, osserva il Beaumont, ogni entrata di Hilarion è sottolineata dalla citazione di un tema tratto dalla Quinta Sinfonia di Beethoven; il tema che accompagna i momenti felici tra Giselle e Albrecht ritorna nella scena della pazzia; un altro di molti possibili esempi è il tema che segna l’entrata delle Willi, già ascoltato quando Berthe ammonisce la figlia dei pericoli che potrebbero attenderla e presente anche durante la pazzia.
Due sono le caratteristiche che la distinguono. Innanzi tutto capitava sovente che il maestro incaricato della musica di uno spettacolo di danza si limitasse ad arrangiare e cucire musiche note, anche di maestri diversi, eventualmente integrandole con sue creazioni. Con Adam, invece, Giselle ebbe musiche nuove, composte espressamente e in modo organico per una precisa drammaturgia; salvo poche battute da una nota romanza e da un coro dell'Euryanthé di Weber (La France Musicale) e qualche passaggio melodico tratto da una sua precedente composizione, il Faust (Guest), Adam fornì uno spartito interamente originale.
Inoltre per la prima volta una partitura di balletto presentava un accorgimento già ampiamente impiegato nella musica lirica: l’uso del Leitmotiv, ossia la ripetizione di una medesima frase musicale allorché si ripresenta un personaggio o una situazione ai quali è associata quella melodia. Ad esempio, osserva il Beaumont, ogni entrata di Hilarion è sottolineata dalla citazione di un tema tratto dalla Quinta Sinfonia di Beethoven; il tema che accompagna i momenti felici tra Giselle e Albrecht ritorna nella scena della pazzia; un altro di molti possibili esempi è il tema che segna l’entrata delle Willi, già ascoltato quando Berthe ammonisce la figlia dei pericoli che potrebbero attenderla e presente anche durante la pazzia.
Il lavoro di Adam ebbe buona accoglienza anche dalla critica dell’epoca. Beaumont riporta un lungo passaggio estratto dalla recensione apparsa su La France Musicale: qui, spicca l’osservazione sull’originalità della partitura e non si risparmiano encomi alla musica del secondo atto, in particolare a quella che accompagna l’assolo di Giselle aperta da un attacco di struggente bellezza della viola. Va aggiunto che sin dalla prima rappresentazione venne eseguito il passo a due dei contadini, aggiunto alla coreografia originale per far ballare la protetta di un finanziatore. Questo è, però, su musica di Burgmuller.
Il capolavoro fu completato dalle scene di Pierre Luc Charles Ciceri, scenografo capo all’Opéra, ben noto per le sue atmosferiche ambientazioni al chiaro di luna di Roberto il Diavolo e de La Sylphide, a cavallo tra il pittoresco e il fantastico. Le due scenografie originali della prima produzione di Giselle sono riprodotte nel volume Les Beautés de l’Opéra, citato tra le fonti. Su quella relativa al primo atto c’è molto poco da osservare, anche perché a tutt’oggi le versioni classiche le sono rimaste per lo più fedeli. Particolarmente interessante è la seconda un po’ più lontana dalle ambientazioni glaciali, misteriose e terrifiche di oggi, al punto di gettare una luce inaspettata sulla concezione attuale di ciò che doveva essere l’atto bianco.
La scena presenta una radura in una foresta dalla vegetazione fittissima, quasi tropicale: una teoria di alberi giganteschi disegna una serie di arcate naturali, formata dagli intrecci dei rami carichi di fogliame, che guidano alla superficie di uno stagno, calma, luccicante al chiarore lunare, coperta di ninfee, secondo la recensione di Gautier. Nella sua prefazione a Giselle, pubblicata nella monografia citata in bibliografia, sempre Gautier scrive "....le Willi si riuniscono in una radura di una foresta presso la riva di uno stagno, dove enormi ninfee dispiegano le foglie sull'acqua vischiosa.... cuori neri, intagliati, fluttuanti come amori morti". Lo stesso poeta, in una successiva descrizione della scena contenuta in Les Beautés de l’Opéra, paragona a serpi le tortuose radici che si intrecciano tra loro per affondare nello stagno. La croce della tomba di Giselle è quasi completamente sepolta da fiori selvatici e uno spesso sottobosco ricopre l’intera radura. E’ ancora Gautier a definire sensuale l’atmosfera ottenuta e a paragonare la flora della scena a quei fiori di Java che fanno perdere il senno a chi ne aspira il profumo.
Il capolavoro fu completato dalle scene di Pierre Luc Charles Ciceri, scenografo capo all’Opéra, ben noto per le sue atmosferiche ambientazioni al chiaro di luna di Roberto il Diavolo e de La Sylphide, a cavallo tra il pittoresco e il fantastico. Le due scenografie originali della prima produzione di Giselle sono riprodotte nel volume Les Beautés de l’Opéra, citato tra le fonti. Su quella relativa al primo atto c’è molto poco da osservare, anche perché a tutt’oggi le versioni classiche le sono rimaste per lo più fedeli. Particolarmente interessante è la seconda un po’ più lontana dalle ambientazioni glaciali, misteriose e terrifiche di oggi, al punto di gettare una luce inaspettata sulla concezione attuale di ciò che doveva essere l’atto bianco.
La scena presenta una radura in una foresta dalla vegetazione fittissima, quasi tropicale: una teoria di alberi giganteschi disegna una serie di arcate naturali, formata dagli intrecci dei rami carichi di fogliame, che guidano alla superficie di uno stagno, calma, luccicante al chiarore lunare, coperta di ninfee, secondo la recensione di Gautier. Nella sua prefazione a Giselle, pubblicata nella monografia citata in bibliografia, sempre Gautier scrive "....le Willi si riuniscono in una radura di una foresta presso la riva di uno stagno, dove enormi ninfee dispiegano le foglie sull'acqua vischiosa.... cuori neri, intagliati, fluttuanti come amori morti". Lo stesso poeta, in una successiva descrizione della scena contenuta in Les Beautés de l’Opéra, paragona a serpi le tortuose radici che si intrecciano tra loro per affondare nello stagno. La croce della tomba di Giselle è quasi completamente sepolta da fiori selvatici e uno spesso sottobosco ricopre l’intera radura. E’ ancora Gautier a definire sensuale l’atmosfera ottenuta e a paragonare la flora della scena a quei fiori di Java che fanno perdere il senno a chi ne aspira il profumo.
L’effetto generale combina l’attrazione per tanta straripante bellezza con l’apprensione per quanto può celarsi in una macchia esotica e inconsueta. Insomma, unito al senso di mistero e di soprannaturale, caro al Romanticismo, è conservato il gusto per l’esotismo carico di sensualità.
L'elemento romantico dell'esotismo che coniuga attrazione e mistero, proposto dalla scenografia, è in linea con la prima idea di Gautier di presentare Willi colorate provenienti dalle più disparate parti del mondo. Di questo rimane traccia in qualche punto del libretto originale, ad esempio in quello dedicato al primo apparire delle Willi, evocate da Myrtha. La sinossi recita: "Parecchie Willi appaiono in successione davanti alla regina. Per prima Moyna, l'odalisca, che esegue una danza orientale; poi Zulma, la bayadère, che dispiega le sue pose indiane; poi due francesi, impegnate in una sorta di minuetto; a seguire due tedesche che volteggiano in un walzer.....".
Che la concezione di Gautier contenesse colore in abbondanza, poi ampiamente diluito da Saint-Georges, è confermato dalla sua prefazione all'articolo Giselle, alla quale ci si è riferiti più sopra: "...accompagnata da un suono di nacchere e da uno sciame di farfalle bianche, con un enorme pettine nell'acconciatura......per prima arriva una danzatrice di cachucha da Siviglia, una gitana, assecondando la musica con un movimento di anche e indossando una gonna carica di segni cabalistici - poi una danzatrice ungherese con una cuffietta di pelliccia, battendo sonoramente gli speroni degli stivali.... - poi una bibiaderi......in pantaloni di lamé d'oro, cintura e collana luccicanti, gioielli bizzarri....campanelline alle caviglie - e, alla fine, mostrandosi timidamente, un petit rat dell'Opéra in abbigliamento da sala.....Tutti questi costumi, esotici, sono scoloriti ed hanno assunto una sorta di uniformità spettrale."
L'elemento romantico dell'esotismo che coniuga attrazione e mistero, proposto dalla scenografia, è in linea con la prima idea di Gautier di presentare Willi colorate provenienti dalle più disparate parti del mondo. Di questo rimane traccia in qualche punto del libretto originale, ad esempio in quello dedicato al primo apparire delle Willi, evocate da Myrtha. La sinossi recita: "Parecchie Willi appaiono in successione davanti alla regina. Per prima Moyna, l'odalisca, che esegue una danza orientale; poi Zulma, la bayadère, che dispiega le sue pose indiane; poi due francesi, impegnate in una sorta di minuetto; a seguire due tedesche che volteggiano in un walzer.....".
Che la concezione di Gautier contenesse colore in abbondanza, poi ampiamente diluito da Saint-Georges, è confermato dalla sua prefazione all'articolo Giselle, alla quale ci si è riferiti più sopra: "...accompagnata da un suono di nacchere e da uno sciame di farfalle bianche, con un enorme pettine nell'acconciatura......per prima arriva una danzatrice di cachucha da Siviglia, una gitana, assecondando la musica con un movimento di anche e indossando una gonna carica di segni cabalistici - poi una danzatrice ungherese con una cuffietta di pelliccia, battendo sonoramente gli speroni degli stivali.... - poi una bibiaderi......in pantaloni di lamé d'oro, cintura e collana luccicanti, gioielli bizzarri....campanelline alle caviglie - e, alla fine, mostrandosi timidamente, un petit rat dell'Opéra in abbigliamento da sala.....Tutti questi costumi, esotici, sono scoloriti ed hanno assunto una sorta di uniformità spettrale."
E' appena il caso di accennare che nella versione di Sylvie Guillem del 1998 le Willi sono presentate in abito da sposa bianco e seduttive, esattamente come descritte nel libro di Heine, ma le fogge palesemente orientali di alcuni costumi, ancorché candidi, citano questa prima intenzione tipicamente romantica.
Ricorda il Beaumont che i documenti riportano l’impiego di 120 rami fioriti, coperti di foglie e 200 giunchi di palude: un ambiente piuttosto affollato, dunque, reso misterioso dall’artificio di abbassare le lampade a gas. La semi-oscurità serviva a enfatizzare la condizione di spettri delle Willi. L’effetto lunare era creato semplicemente sistemando una forte luce dietro un gigantesco foro tagliato nel fondale e ricoperto di materiale traslucido. Di tanto in tanto la luce veniva schermata con oggetti di forme diverse per suggerire il passaggio di nubi davanti alla luna: questi effetti scenici, secondo i desideri di Gautier e Saint-Georges, si sarebbero dovuti riflettere sulla superficie dello stagno, che i due scrittori volevano formata da una serie di specchi, ma l’artificio non venne realizzato per i costi. Questo desiderio sarà soddisfatto per la ripresa di Giselle all’Opéra del 1863 (Beaumont).
E’ solo dal ‘900, dalla proposta di Alexandre Benois per Diaghilev in poi, che gli alberi perdono il fogliame, la vegetazione non è tropicale, ma spesso scarna e montana, lo stagno perde importanza e, a volte, scompare assieme alle ninfee, la tomba è in bella vista e non spunta più dalla vegetazione, l’atmosfera rimane misteriosa, ma è invernale e sinistra, addirittura repulsiva. Non c’è più l’irresistibile attrazione che invita ad addentrarsi nella radura, anzi il clima invita a fuggire e, soprattutto, sono andati completamente perduti la sensualità e l’esotismo. E’ ancora Romanticismo, ma è la nostra idea di quel movimento artistico: un Romanticismo dimezzato.
Fonti letterarie
-Cecyl W. Beaumont, The Ballet called Giselle, London 1944
-Théophile Gautier, Théâtre, Mystère, Comédies et Ballets
-Ivor Guest, The Romantic Ballet in Paris, London, Pitman 1966
-Ivor Guest, Jules Perrot, Master of the Romantic Ballet, Dance Books Ltd., 1984
-Les beautés de l’opéra ou Chefs d’oeuvre lyriques illustrés par les premiers artistes de Paris et de Londres, sous la direction de Giraldon, avec un texte explicatif rédigé par Théophile Gautier, Jules Janin et Philarète Chasles, Paris, Chasles, 1845.
Marino Palleschi
Balletto.net
Ricorda il Beaumont che i documenti riportano l’impiego di 120 rami fioriti, coperti di foglie e 200 giunchi di palude: un ambiente piuttosto affollato, dunque, reso misterioso dall’artificio di abbassare le lampade a gas. La semi-oscurità serviva a enfatizzare la condizione di spettri delle Willi. L’effetto lunare era creato semplicemente sistemando una forte luce dietro un gigantesco foro tagliato nel fondale e ricoperto di materiale traslucido. Di tanto in tanto la luce veniva schermata con oggetti di forme diverse per suggerire il passaggio di nubi davanti alla luna: questi effetti scenici, secondo i desideri di Gautier e Saint-Georges, si sarebbero dovuti riflettere sulla superficie dello stagno, che i due scrittori volevano formata da una serie di specchi, ma l’artificio non venne realizzato per i costi. Questo desiderio sarà soddisfatto per la ripresa di Giselle all’Opéra del 1863 (Beaumont).
E’ solo dal ‘900, dalla proposta di Alexandre Benois per Diaghilev in poi, che gli alberi perdono il fogliame, la vegetazione non è tropicale, ma spesso scarna e montana, lo stagno perde importanza e, a volte, scompare assieme alle ninfee, la tomba è in bella vista e non spunta più dalla vegetazione, l’atmosfera rimane misteriosa, ma è invernale e sinistra, addirittura repulsiva. Non c’è più l’irresistibile attrazione che invita ad addentrarsi nella radura, anzi il clima invita a fuggire e, soprattutto, sono andati completamente perduti la sensualità e l’esotismo. E’ ancora Romanticismo, ma è la nostra idea di quel movimento artistico: un Romanticismo dimezzato.
Fonti letterarie
-Cecyl W. Beaumont, The Ballet called Giselle, London 1944
-Théophile Gautier, Théâtre, Mystère, Comédies et Ballets
-Ivor Guest, The Romantic Ballet in Paris, London, Pitman 1966
-Ivor Guest, Jules Perrot, Master of the Romantic Ballet, Dance Books Ltd., 1984
-Les beautés de l’opéra ou Chefs d’oeuvre lyriques illustrés par les premiers artistes de Paris et de Londres, sous la direction de Giraldon, avec un texte explicatif rédigé par Théophile Gautier, Jules Janin et Philarète Chasles, Paris, Chasles, 1845.
Marino Palleschi
Balletto.net